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 2014  novembre 19 Mercoledì calendario

Chi sono i figli dell’Europa andati a combattere per il Califfo. Ragazzi partiti per una festa e riapparsi su YouTube con proclami di morte, adescati con scene prese dal Signore degli Anelli o con filmati di propaganda. Vengono dalla classe media, hanno tra i 15 e i 21 anni. La jihad è ormai in casa nostra

La linea d’ombra si assottiglia sempre di più. Le vecchie griglie di comprensione – la fragilità psicologica, le condizioni sociali disagiate, la rabbia che cova – non bastano più a spiegare, né a prevedere. «Il profilo tipo dell’occidentale che si arruola nella jihad è rapidamente cambiato», racconta Dounia Bouzar che ha appena pubblicato un rapporto commissionato dal ministero dell’Interno per smentire alcuni cliché sui giovani combattenti partiti per la Siria, e analizzare le tecniche di indottrinamento usate dai gruppi islamici radicali. Titolo dello studio, quasi cento pagine di dati ed esempi: La Metamorfosi.
È l’impercettibile ma drastica mutazione culturale e ideologica di ragazzi insospettabili come Maxime Hauchard, il normanno ventiduenne diventato boia dell’Is, cresciuto ateo in una villetta a schiera di provincia, con una madre che lavora alla Asl e un padre impiegato in un’impresa edilizia.
L’antropologa snocciola nel rapporto, realizzato insieme a Christophe Caupenne, ex capo dei negoziatori delle forze speciali antiterrorismo, oltre 160 casi di famiglie francesi che hanno scoperto di avere in casa un aspirante jihadista. Ragazzi che sono partiti per andare a scuola o a una festa, e sono riapparsi in un video su YouTube con proclami di morte.
La maggioranza dei casi (67%) proviene dalla classe media e solo il 16% da ambienti sociali disagiati. Il 63% ha tra 15 e 21 anni e il 44% sono donne. Anche lo stereotipo dei “soggetti fragili” appare superato. Come Hauchard che aveva medie e liceo con ottimi voti, era amico del figlio del sindaco, aiutava ad organizzare le feste di paese, aveva fatto il cameriere da “Delice Pizza”. La religione non è il principale motore: l’80% delle nuove leve proviene da famiglie atee e nel 91% dei casi non hanno mai frequentato una moschea, ma sono stati arruolati solo attraverso Internet. Persino i discorsi sulle prime o seconde generazioni di immigrati sembrano superati: solo il 10% dei casi ha genitori non fran- Per chi vuole cercare di capire è un salto nell’ignoto. «Il nuovo discorso dei terroristi punta a persone che stanno bene e vivono in famiglie agiate», sintetizza Bouzar che da anni studia l’integralismo islamico, a cui ha dedicato diversi saggi. L’ultimo s’intitola Ils cherchent le paradis, ils ont trouvé l’enfer. Giovani che confondono paradiso e inferno. «Uno studente in medicina può diventare uno jihadista», ha scritto nel libro l’antropologa. E ora sembra una profezia vedendo le immagini di Nassim Muthana, studente in medicina a Cardiff arruolato nel plotone dei boia dell’Is. «Nessuna famiglia – conclude Bouzar – può sentirsi al riparo».
Ogni percorso fa storia a sé, ma ci sono alcune inquietanti analogie. Molti partono con un ideale umanitario o romantico. I messaggi di Al Nusra, la cellula in Siria di Al Qaeda, puntano sull’impegno per salvare le popolazioni, il soc- corso ai più deboli. Quelli dell’Is propongono un ideale guerriero, con simboli cavallereschi come il leone o immagini del film Il Signore degli Anelli per difendere il nuovo fantomatico Stato tra Iraq e Siria. Viene spesso citata una frase di Khalid Ibn Al Walid, l’invincibile guerriero del primo califfato, il compagno di Maometto che vinse tutte le guerre, cambiando la mappa del Medio Oriente: «Porto uomini che desiderano la morte come voi desiderate la vita».
Le poche, scarne notizie alle famiglie arrivano via Skype. Nella prima telefonata, nota il rapporto, le nuove leve dicono ai genitori le stesse frasi: «Abito in una bella villa, non ho bisogno di niente. Sono nelle braccia di Allah, Allah mi protegge, sono protetto». Secondo Bouzar molti partono senza sapere davvero a cosa vanno incontro. E quando se ne accorgono è troppo tardi. «È una sorta di vacanza», ha raccontato nel luglio scorso Maxime Hauchard parlando da Raqqa con un’emittente francese. I ragazzi cadono nella rete anche senza volerlo. I gruppi islamici disseminano esche online. «Riescono a stabilire link a partire da video su YouTube che guardiamo tutti, con parole chiave neutre, dalla storia dei vaccini al commercio equo e solidale». A quel punto la Jihad 2.0 inizia a diventare realtà. Il rapporto consegnato al ministero dell’Interno analizza tre categorie di video. Ci sono filmati che tendono ad accreditare la teoria del complotto in cui viene descritto un Occidente bugiardo, corrotto. Una seconda tappa dell’indottrinamento punta su presunte “società segrete” che governerebbero il mondo, dalla massoneria agli Illuminati. Lentamente si instaura un dubbio, una sfiducia rispetto alla propria cultura. I giovani si allontanano dalla famiglia, dagli amici. Incominciano ad avere una doppia vita finché l’identità del gruppo islamico sostituisce l’identità individuale. La tappa finale, continua lo studio, è il meccanismo di disumanizzazione. Bouzar cita alcuni video dell’Is che mischiano immagini vere a popolari videogiochi, come Assassin’s Creed o Call of Duty. «Gli ostaggi decapitati – conclude l’antropologa – non sono più uomini, ma sagome virtuali da annientare». Il rapporto finisce senza offrire soluzioni. Solo alcune chiavi di lettura per comprendere, o almeno tentare.