la Repubblica, 19 novembre 2014
A Roma Alfio Marchini è convinto che Marino cadrà a breve e che al prossimo voto sarà eletto sindaco di Roma: «Non sopporto di vedere la città ridotta così. Solo un grande movimento civico non anti-politico e che coinvolga i cittadini può rilanciare Roma. L’idillio Renzi-Berlusconi ha abbattuto gli ultimi recinti: ora il popolo sceglie libero da finte ideologie»
Alfio Marchini, tra gli oppositori di Marino, è di certo il più originale. Imprenditore di solidi natali e dunque ricchissimo, spesso paragonato al Ridge di Beautiful per la mascella volitiva e il bell’aspetto, s’è messo in testa di diventare sindaco di Roma. E dopo aver perso la sfida contro il chirurgo dem, non fa altro che sparargli contro nella speranza di buttarlo giù e prendere il suo posto.
Ingegner Marchini lei ha puntato sul multagate, ma è andata male.
«Io non punto sul multagate, ma sull’incapacità del sindaco di dare risposte alla città. Il dibattito è stato surreale: Marino che dopo l’ennesima versione sulle multe fa battute sui vigili e la sua sosta vietata. Una maggioranza che sui media lo attacca e in aula si arrampica sugli specchi per difenderlo. Il Pd si sta assumendo una grave responsabilità lasciando Roma in questa palude».
E cosa dovrebbe fare? Farlo cadere e candidare lei?
«Io mi ricandiderò comunque. Amo Roma e non sopporto di vederla ridotta così. In campagna elettorale dissi che avrei messo la sede operativa del sindaco nelle periferie. Dissi che andava cambiato il modello di governo della città ripartendo dai quartieri. Dissi che Roma aveva bisogno di una grande manutenzione. La cronaca mi sta dando ragione».
Non ha risposto alla domanda. Ma forse la risposta è nel fatto che due anni fa la sua trattativa col Pd fallì perché lei rifiutò di correre alle primarie. Se n’è pentito?
«Nel 2013 raccolsi e depositai ben 4.000 firme, ma alla fine rinunciai perché capii che sarei stato la foglia di fico ad una mera conta interna tra correnti di partito. E visti i risultati sono fiero di quella scelta».
Ora però si dice che lei potrebbe essere il “Papa straniero”.
«Solo un grande movimento civico non anti-politico e che coinvolga i cittadini può rilanciare Roma. L’idillio Renzi-Berlusconi ha abbattuto gli ultimi recinti: ora il popolo sceglie libero da finte ideologie».
Quindi non correrà da solo? «Due anni fa dicevano che a Roma non c’era spazio per nulla di nuovo, eppure in pochi mesi abbiamo fatto un miracolo. Oggi sempre più romani ci chiedono di guidare la rinascita. Ma per vincere bisogna aggregare anche quei romani che un tempo votavano per il centrodestra e per il centrosinistra. A questo lavorerò senza sosta e alla luce del sole».
È lo schema del governo nazionale, crede che a Roma sia riproducibile?
«A maggior ragione a Roma, dopo le fallimentari esperienze Alemanno e Marino. Per questo mi fanno piacere gli apprezzamenti del capogruppo di Sel».
Cosa sbaglia Marino secondo lei?
«Non ha empatia con i romani ed è incapace di individuare le priorità. Che sono sicurezza, lavoro e mobilità. Di tutto questo non c’è traccia nelle politiche del sindaco».
E l’emergenza immigrazione che sta facendo ribollire le periferie?
«Un’altra delle priorità dimenticate. Bisognerebbe fare una operazione verità: dire realisticamente ciò che Roma può permettersi in termini di accoglienza. Un sindaco è un padre di famiglia che prima di adottare altri figli deve garantire ai suoi i servizi e diritti che gli spettano. Facendo tesoro degli errori di Parigi e Londra dove gli immigrati sono concentrati in grandi dormitori».
La sua ricetta qual è?
«Inserire piccoli nuclei anche in altri centri urbani della Regione. Aiutare ad esorcizzare la paura del diverso: quando si umanizzano le storie personali dei singoli, tutto è più semplice. Noi italiani siamo gente che sa ascoltare il cuore».