la Repubblica, 19 novembre 2014
Elezioni in Calabria: il grande favorito è Mario Oliverio, che alle primarie del Pd ha sconfitto l’avversario renziano e che ha fatto il pieno di berlusconiani nelle liste. Al grido di «votate quel comunista» gli amici di Scopelliti si preparano a saltare sul carro del vincitore
Cosa ci fa il repubblicano Francesco Nucara, già viceministro berlusconiano, a cena da solo con Mario Oliverio, il superfavorito candidato del Pd alla carica di governatore della Calabria? Gli dà consigli, gli chiede notizie e soprattutto gli conferma che domenica gli porterà i suoi voti. Ma come, gli domando, lei non stava con il centrodestra? Non era il più grande sostenitore di Giuseppe Scopelliti, il presidente spodestato dai giudici? Nucara non si scompone. «Purtroppo la Calabria è un malato terminale, e a me non interessa se il medico è un comunista, mi basta che sia un bravo medico». Poi gli spunta sulla bocca un sorriso malizioso: «Lo sa che mi ha fatto la stessa domanda il segretario del Pd, Ernesto Magorno? Allora è vero, mi ha detto, che appoggi un comunista. Erne’, gli ho risposto, lo appoggio perché è un comunista. Se era del Pd non lo appoggiavo».
Nucara, che a 74 anni ormai è una vecchia volpe della politica, non è un’eccezione, anzi. Qui, nella regione più povera, più disoccupata e più depressa d’Italia la perenne ricerca dei calabresi perbene dell’uomo che li tirerà fuori dall’inferno è puntualmente accompagnata da una massiccia transumanza dei professionisti della politica e del loro seguito di vassalli, valvassori e valvassini, che fiutano il vento prima di tutti gli altri e stanno sempre dalla parte giusta: quella del vincitore. E poiché in Calabria più che altrove la politica odora di favori concessi e di promesse tradite, eppure rimane l’unica corda alla quale aggrapparsi per non affondare nella disperazione, ogni volta che si volta pagina si riaccende la speranza che sia la volta buona. Questo spiega perché alle primarie del centrosinistra, vinte da Oliverio battendo il renziano Callipo, si siano presentati in 110 mila, più del doppio dei 58 mila che sono andati ai seggi del Pd nella rossissima Emilia Romagna, che pure ha due volte gli abitanti della Calabria. Spiega perché abbia vinto non un rottamatore ma un capitano di lungo corso della politica calabrese (a 61 anni, Oliverio è già stato consigliere e assessore regionale, sindaco di San Giovanni in Fiore, segretario provinciale dei Ds, deputato per quattro legislature e presidente della Provincia di Cosenza). E spiega anche perché, una volta ottenuta l’investitura, lui abbia messo in campo otto liste e 240 candidati per essere certo di fare il pieno dei voti. Otto liste nelle quali sono stati esclusi quasi tutti gli uscenti del Pd ma è stato trovato un posto per molti alleati dell’ultima ora, dall’ex sottosegretario berlusconiano Elio Belcastro all’ex presidente (di centrodestra) della commissione regionale Antimafia, Salvatore Magarò.
«Trasformismo!» accusa la principale rivale di Oliverio, Wanda Ferro, 45 anni, che pure ha imbarcato nelle sue tre liste (Forza Italia, Fratelli d’Italia e Casa delle Libertà) i dissidenti dell’Udc e soprattutto dell’Ncd, due partiti che ora appoggiano il terzo incomodo, il sessantenne senatore Nico D’Ascola. Lei ha contato trenta ex del centrodestra nelle otto liste del centrosinistra, e ora descrive con finto distacco «quest’ondata di transfughi che ogni volta passa da una sponda all’altra, tutti folgorati alla vigilia delle elezioni sulla via di Damasco», e racconta di aver proposto un patto al suo avversario: «Chiudiamo le porte ai trasformisti, gli ho detto. Ma lui ha preso di tutto e di più». È difficile trovare qualcuno in tutta la Calabria che scommetta sulla sua vittoria, con il centrodestra diviso in due tronconi, eppure lei non getta la spugna: «Anche nel 2008, a Catanzaro, dicevano che non ce la potevo fare, e invece sono stata la prima donna in Calabria a essere eletta presidente della Provincia. Io faccio politica da quando avevo 14 anni, nel Fronte della Gioventù, sono una che non molla».
Lontano dal palcoscenico che calcava da mattatore, Giuseppe Scopelliti – esiliato dalla scena politica per una condanna a sei anni per abuso d’ufficio e falso in atto pubblico a cui non si rassegna non è affatto uscito dal gioco: lui che era stato uno degli otto fondatori del Nuovo Centrodestra è tornato con Berlusconi, e solo 4 dei 19 consiglieri del suo gruppo sono rimasti con Alfano. Adesso, dopo aver visto il giovane Giuseppe Falcomatà trionfare con il 61 per cento nella stessa città dove lui stravinceva con il 70 per cento, riflette sulle amarezze della vita: «Questa è una terra ingovernabile, un terra maledetta. Siamo circondati dai ricattati e dai ricattatori. La politica perde perché non ha la schiena dritta. Io ho lottato, mi sono battuto contro tutto e contro tutti, e alla fine ho perso. Ma non mi arrenderò mai, devo difendere un sogno nel quale credono ancora tanti calabresi».
Il voto di domenica chiude l’ignobile sceneggiata della finta riforma elettorale, quella che prevedeva uno sbarramento da record al 15 per cento e introduceva l’inedita figura del «consigliere regionale supplente», norme scritte e approvate a rotta di collo dai consiglieri uscenti dopo le dimissioni obbligate di Scopelliti con l’unico trasparente obiettivo di far impugnare la riforma dal governo e chiedere una sentenza della Corte costituzionale, allungando artificialmente la vita di un Consiglio regionale già tecnicamente morto, mentre là fuori la Calabria continuava a sprofondare e ad accumulare record nazionali uno peggiore dell’altro, dal reddito pro capite più basso (7412 euro) al tasso di disoccupazione più alto (22,2 per cento), con sei giovani su dieci senza lavoro.
Seduto dietro il lungo tavolo della sala convegni del Consiglio regionale, accanto a Luca Lotti – il vero alter ego di Matteo Renzi -Mario Oliverio deve sentire sulle sue spalle il peso delle mille speranze affidate alla sua vittoria, perché dopo aver ascoltato le sacrosante parole del sindaco Falcomatà («Bisogna che in questa terra progredisca chi conosce qualcosa e non chi conosce qualcuno») avverte il giovane sottosegretario arrivato da Roma: «Noi non verremo a Palazzo Chigi col cappello in mano, però la Calabria deve avere quello che le spetta». Sul tavolo, per cominciare, ha messo il progetto per rilanciare il porto di Gioia Tauro trasformandolo in una «zona economica speciale» che darebbe lavoro ad altri 2700 calabresi. Ci vogliono 892 milioni, che sono meno della metà dei fondi europei che la Calabria rischia di perdere. Oliverio, che del tenente Kojak ha la pelata ma anche l’occhio furbo, fa i conti: «Sono un miliardo e 800 milioni, che l’Unione europea si riprenderà se non riusciremo a spenderli entro il 2015. Abbiamo tredici mesi per progettare, fare le gare, aprire i cantieri, realizzare le opere e mandare i rendiconti. Sarà una corsa contro il tempo». Lotti lo ascolta, poi guarda il grande orologio digitale appeso alla parete e dice: «Vedo che è fermo al 9 maggio. Dev’essere il 9 maggio di quattro anni fa. Adesso vi propongo il patto dell’orologio: noi vi daremo una mano, ma voi lunedì mattina fatelo ripartire, quell’orologio».