la Repubblica, 19 novembre 2014
La minoranza Pd sempre più divisa. Solo Pippo Civati è pronto alla scissione: «Se tutti avessimo tenuto il punto, il Jobs Act sarebbe stato diverso. Davvero non riesco a immaginare Bersani che lo vota...»
Divisi alla meta. E anche ammaccati, come ammette sconsolato Pippo Civati, ormai deciso alla scissione. «Se tutti avessimo tenuto il punto, il Jobs Act sarebbe stato diverso. Davvero non riesco a immaginare Bersani che lo vota...». La minoranza dem rischia davvero di trasformarsi in un caleidoscopio scassato. Cento anime, mille opinioni. Da una parte Area riformista, pronta a ingoiare i nuovi ritocchi all’articolo 18. Dall’altra poche, ma significative defezioni sulla legge delega. Civati, appunto, Stefano Fassina, Francesco Boccia, Gianni Cuperlo, Barbara Pollastrini e probabilmente Rosy Bindi. Nell’Aula di Montecitorio, in tutto, mancheranno una decina di “sì”.
Quasi nessuno dei “resistenti”, in realtà, si spingerà fino a sfiduciare Palazzo Chigi. Alla Camera è possibile sostenere il governo, sfilandosi il giorno successivo nel voto finale sul provvedimento. Così meditano di fare Fassina e Cuperlo. Ieri, assieme ad Alfredo D’Attorre e Civati, hanno fatto il punto riservatamente, prima di presentare gli emendamenti alla manovra. «Sul Jobs Act – mostra cautela D’Attorre – vediamo alcuni miglioramenti, ma il giudizio resta critico. La valutazione di alcuni bersaniani è di attendere il testo definitivo. Capiremo tutto entro venerdì».
I tempi, in effetti, sono stretti. E la mediazione di Roberto Speranza è considerata anche da Pierluigi Bersani come un’inevitabile riduzione del danno. Dove il danno in questione è la deflagrazione dell’opposizione interna. Ne è consapevole anche Fassina, che però difficilmente dirà sì al momento del voto finale: «Vedrò l’impianto nel suo complesso, le risorse per gli ammortizzatori, poi deciderò che cosa fare in Aula. Nella minoranza ci sono posizioni diverse? È legittimo. Non so se è il punto di non ritorno, di certo il Jobs Act è rilevante».
La spaccatura interna – con le sue proporzioni – si riflette al meglio anche in commissione Lavoro. Lì solo Monica Gregori ha deciso di astenersi. «Una scelta difficile, sofferta – spiega – La fiducia la voterò, il provvedimento vedremo». Strappi che producono strappi, tensioni che alimentano altre tensioni. «Rispetto ogni scelta – commenta la “giovane turca” Chiara Gribaudo – ma non condivido chi in un momento così delicato e importante divide il partito per cercare un po’ di visibilità».
Come se non bastasse, un’altra ferita è destinata ad aprirsi a causa della legge di Stabilità. La sinistra dem si presenta ai blocchi di partenza compatta, grazie agli emendamenti comuni. Eppure una nuova mediazione di Speranza – stesso copione del Jobs Act – finirà col deludere l’ala più oltranzista. Il capogruppo, nel dubbio, stronca l’idea di un coordinamento delle minoranze sui temi economici, avanzata da Boccia: «Io lavoro per un partito plurale, ma unito». Il solco con l’area dura di Cuperlo e Civati, insomma, si allarga ancora. Il primo, incitato da Massimo D’Alema, continua a picchiare duro sul governo. E il secondo accompagnato dal deputato Luca Pastorino – attende solo che si concluda il tour de force su manovra e Jobs Act per dire addio al partito. Per costruire un nuovo inizio assieme a Sel, sembra. «Con lui ci confrontiamo – ammette il coordinatore vendoliano Nicola Fratoianni – e io discuto con tutti quelli che hanno un punto di vista critico verso il governo. Ognuno è libero di fare le proprie scelte, ma visto il valore simbolico del Jobs Act mi sembra difficile scindere la fiducia al governo dal voto sul provvedimento». La maionese, in effetti, rischia di impazzire. E le anime dem si confondono a ritmo frenetico. C’è chi, come Simone Valiante (AmiciDem), tifa per le aziende: «Ciò che più conta è che la riforma del lavoro aiuti gli imprenditori». Di certo c’è che gli uomini del premier non smettono di sparare sulla minoranza: «Presentano emendamenti e si comportano come se non fossero del Pd», tuona Ernesto Carbone. «I renziani sono proprio mansueti – ribatte ironico Civati – forse perché stanno fondando il Msi...». Se Pippo scherza per smorzare la tensione, i Cinquestelle prendono sul serio le mosse dell’opposizione dem. E propongono battaglie comuni in Parlamento per sfruttare tatticamente le divisioni sulla manovra. Inutilmente, però, perché i dissidenti del Pd fanno subito sapere che schiveranno l’abbraccio mortale dei grillini della Casaleggio associati.