Corriere della Sera, 19 novembre 2014
Le evidenze scientifiche smontano il caso Pantani: è morto per overdose di cocaina, nessun complotto. In Francia non hanno dubbi, anche se aumentano le zone d’ombra sull’inchiesta del 2004
L’ eco del «caso Pantani», ennesimo mistero giudiziario italiano, supera i confini del nostro Paese: domenica scorsa Stade 2 ha trasmesso un documentario-inchiesta sulla morte del ciclista che ha registrato un’audience record su France 2, la tv di stato. Quasi 2 milioni di spettatori hanno visto le immagini inedite del sopralluogo della polizia nella stanza del residence Le Rose di Rimini e del corpo senza vita del campione. Hanno ascoltato contraddittorie (a tratti imbarazzanti) interviste con testimoni dell’epoca e assistito a un acceso dibattito tra giornalisti, criminologi e tossicologi transalpini.
La chiave del mistero è qui: le evidenze della scienza contro quelle, pragmatiche, della nuove prove tenacemente raccolte dall’avvocato della famiglia Pantani, Antonio De Rensis. Qui si gioca l’apertura o meno di un nuovo processo che cerchi un colpevole (e un movente, al momento assente) della morte del campione romagnolo, attribuita dal primo processo a overdose di cocaina.
La scienza, quando slegata dalle perizie di parte, ha pochi dubbi. La tv francese ha fatto esaminare la scena del crimine (tramite i video della scientifica) e reperti autoptici completi a Jean-Marc Bloch, celebre ex patron della polizia giudiziaria parigina, e al medico William Lowenstein, tra i massimi esperti di dipendenze da stupefacenti in Europa.
Il primo, pur giudicando «talvolta leggero e disordinato», il lavoro degli investigatori italiani ha ritenuto scena del crimine, posizione del cadavere e ferite sul corpo di Pantani compatibili con una morte da overdose. «Quello che l’avvocato della famiglia considera un disordine troppo ordinato per essere credibile – ha detto Bloch – non è infrequente in situazioni simili: tutto sembra teatrale è invece reale».
Lowenstein si è soffermato sulle analisi tossicologiche: «Le quantità di cocaina nei tessuti di Pantani (i 13,5 mcg/ml nel sangue, i 96,2 mcg/g nel fegato rilevati nelle 48 ore successive alla morte) sono “normali” in un grande consumatore di coca sopravvissuto a tre crisi serie negli ultimi mesi di vita (a Cuba, Milano e Rimini, ndr ). La famosa bottiglia con cui gli sarebbe stata fatta bere cocaina diluita in acqua? Purtroppo – continua Lowenstein – non conosco precedenti: per me è più ragionevole pensare che bottiglia e bicchiere li abbia usati per “tagliare” la polvere, acquistata in “sassi” che vanno polverizzati per poterli inalare. Ciò spiegherebbe la tanta polvere bianca attorno agli oggetti di vetro».
Contro la scienza, si scontra l’evidenza delle troppe incoerenze dell’inchiesta messe a nudo da almeno cinque testimonianze inedite: gli oggetti spostati, l’orologio del Pirata fermo su un’ora impossibile, la «pallina» di cocaina accanto al corpo che prima non c’era e poi (forse) è comparsa, medici e soccorritori dalla memoria confusa e l’incredibile episodio delle «prove di reato» distrutte pochi mesi fa, a indagini già riaperte. Un depistaggio palese e goffo, con ragioni che esulano dalla morte di Pantani servivano a proteggere la presenza di «terzi» nelle strutture dell’albergo, il 14 febbraio 2004?
Paolo Giovagnoli, capo della Procura di Rimini, accoglie i giornalisti col Codice Penale aperto sull’articolo 649: «Quella della famiglia Pantani – spiega – è una prospettazione di omicidio volontario che abbiamo preso seriamente in esame. Ma c’è una complicazione giuridica seria: se le indagini riportassero ai personaggi già giudicati in passato, il Codice ci impedisce di processarli di nuovo anche se scoprissimo che hanno commesso un omicidio volontario».
A questo punto un’eventuale nuova verità si allontana: il reato di depistaggio e inquinamento processuale non è ancora stato introdotto nel Codice. E senza un presunto colpevole non si va da nessuna parte. In attesa della terza e decisiva perizia medica (affidata al veronese Tagliaro) quello di Pantani rischia di restare nella storia, come ha detto con freddezza alle telecamere francesi Giuseppe Fortuni, il medico che effettuò l’autopsia, «il banalissimo caso di un tipo che è morto di un’overdose di cocaina».