Corriere della Sera, 19 novembre 2014
Eva Klotz, la pasionaria del Tirolo, alla politica ha preferito il marito: «Hans è malato, lascio tutto. Se avessi la bacchetta magica e potessi usarla per avverare un desiderio, uno solo, vorrei svegliarmi domattina e sapere che il Sud Tirolo non è più parte dello Stato italiano»
Davvero ha detto così? «Certo». Non è tipo da rimangiarsi le parole, Eva Klotz. Perciò conferma la citazione che le attribuisce Wikipedia. Che poi sarebbe questa: «Chiederci di festeggiare l’Unità d’Italia è come chiedere a una donna stuprata di festeggiare con lo stupratore l’anniversario della violenza». Ecco.
Nel caso non fosse abbastanza chiaro, Eva lo dice in un altro modo: «Se avessi la bacchetta magica e potessi usarla per avverare un desiderio, uno solo, vorrei svegliarmi domattina e sapere che il Sud Tirolo non è più parte dello Stato italiano». D’ora in poi se anche tutto questo accadesse lei sarebbe soltanto una spettatrice. Niente più palco. Perché dopo 31 anni passati a sognare il «Sud Tirolo libero» dai banchi del consiglio provinciale altoatesino, l’altro giorno Eva, classe 1951, ha convocato una conferenza stampa per un annuncio a sorpresa: «Mi dimetto. Basta con la politica attiva». Un mazzo di fiori fra le mani, gli occhi lucidi dall’emozione e i capelli annodati nella solita trecciona. «Mio marito Hans è malato e ha bisogno di me, non posso lasciarlo solo» ha spiegato. E ieri, con la voce che tremava, lo ha ripetuto al telefono: «Ci sono momenti nella vita in cui si rivedono le priorità e per me questo è uno di quei momenti. Nei 23 anni che abbiamo vissuto assieme lui mi ha sempre sostenuto, mai un rimprovero o una lamentala. Mi ha sempre coperto le spalle e ora tocca a me. È soltanto per questo che mollo».
Mollare sembrava una di quelle parole non contemplate nel dizionario della «pasionaria», come la chiamano tutti per via di quella volta (la sua prima volta in consiglio) che arrivò in aula vestita con il costume tradizionale usato in Austria e Germania. Era il suo modo di «non essere italiana», come ha ripetuto poi mille e mille volte. L’ha fatto scrivere anche su decine di cartelloni installati ai valichi di frontiera: «Südtirol ist nicht Italien», il Sud Tirolo non è Italia. Solo una delle tante campagne provocatorie ideate personalmente da lei. Come quell’altra con l’immagine di una scopa che spazza via la bandiera italiana sotto la quale si vede quella tirolese: Auf Italien kann Südtirol verzichten, all’Italia il Sud Tirolo può rinunciare.
Una vita spesa a volere il Tirolo «libero dall’invasione italica», sette legislature consumate a suon di battaglie ma mai una volta che sia stata davvero sul punto di realizzare il suo sogno: «Lo so, lo so» ammette. «Ma io ho preparato la strada. Come dicono i cinesi: per fare un chilometro si parte dal primo passo».
Di «passi», chiamiamoli così, aveva provato a farne anche suo padre Georg, per tutti un terrorista autore di attentati dinamitardi, per lei guida illuminata della causa tirolese. Per difendere la sua memoria lei usa un paragone che non ha nulla da invidiare a quello dello stupratore: «Se lui era un terrorista, allora lo era pure Garibaldi».