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 2014  novembre 19 Mercoledì calendario

Quei duecento mitomani che ruotano attorno al caso di Elena Ceste. Vista in un autogrill della Torino-Venezia; in vacanza a Capo Verde; «con un ragazzo, uno straniero»; a Tenerife; in un centro commerciale di Asti «con un uomo brizzolato»; a Torino su un tram, «pensosa e sofferente»; a Bari con «uomini, donne e bambini, forse Rom»; di nuovo in Puglia ma finalmente sola...

Lui è Vito R., 38 anni, impresario edile di Savona. Geometra, sposato e incensurato. Il 9 novembre telefona ai carabinieri di Asti. «Ho importanti rivelazioni su Elena Ceste, eravamo diventati amici su una chat, ci sentivamo spesso al telefono». Lo convocano immediatamente in caserma. Ha l’aria del cittadino modello, pronto a fare il suo dovere. Mostra agli investigatori le schermate con le conversazioni in una chat per singoli con una certa «EleAsti». Sono false. Il geometra ha cambiato la data della ricezione, anticipandola al settembre 2013. Si presenta così: «Si sono sposata e ho quattro figli». Disperata: «Volevo dirti che grazie a te ho trovato il coraggio di dirgli che voglio lasciarlo. Ho copiato i messaggi su una memory card, se ne è accorto ed è diventato un mostro. Mi ha strattonata fino a farmi cadere».
«Il bimbo ha mal di gola»
Tensioni familiari ma anche banalità: «Ciao Vito ti scrivo qui perché il telefono è scarico, oggi sono andata dal medico il bimbo aveva male alla gola sono tornata poco fa, tu dove sei?». «Elena» lo chiama insistente al telefono, «da una scheda anonima» precisa il geometra. «Parlavamo di tutto ma non ci siamo mai visti, ho capito che stava male, che aveva paura». Di chi? Del marito, ovvio. 
«Volevo solo esibirmi in tv»
I carabinieri recuperano la schermata originale, con la data del 14 novembre 2014. Allora? Vito R. insiste ancora e tiene duro. Dopo tre ore di confronto crolla: «Mi sono inventato tutto, non ho hai avuto contatti con Elena Ceste». Perché? «In questo periodo sono depresso, volevo diventare ospite dei talk in tv che si occupano ogni giorno del caso, volevo fama e visibilità». I carabinieri interrompono l’interrogatorio e gli dicono che, da quel momento, è indagato «per false comunicazioni al pm» e «falsificazione del contenuto di comunicazioni informatiche». Si era già messo in contatto con una rete tv. 
Mitomani e veggenti
Quanti i mitomani che ruotano attorno a un caso, controverso e complesso come quello di Elena Ceste? «Oltre duecento, compresi sensitivi e veggenti», spiegano i carabinieri dell’unità speciale che da mesi si occupa solo di un’ indagine con pochi indizi e zero certezze. Tutte le segnalazioni, anche le più bizzarre, sono state analizzate. 
«Al mare con un ragazzo»
Domina l’ipotesi di una fuga volontaria. La povera Elena fu vista – tra l’altro – in un autogrill della Torino-Venezia, mentre compra «giocattoli per i figli». Quindi in vacanza al Capo Verde, «con un ragazzo, uno straniero»; a Tenerife; in un centro commerciale di Asti «fa la spesa con un uomo brizzolato»; a Torino su un tram è «pensosa e sofferente» ma in realtà era un’impiegata che andava a lavorare; a Bari con «uomini, donne e bambini, forse Rom»; di nuovo in Puglia ma finalmente sola. Un mitomane se la prende con il sacerdote di Costigliole («l’ha presa per i capelli e l’ha trascinata in chiesa»), scrive in un Sms; una veggente rivela che Elena «è stata rapita, cercatela in un lago o in un fiume». Ma ci sarà un «insperato lieto fine». 
Il «Consolatore»
Scrive l’anonimo: «Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza». Una donna è certa: «Elena faceva parte di una setta religiosa». Seconda opzione: «S’è rifugiata in un convento. Farà la suora». Di clausura.
Massimo Numa
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Elena Ceste è stata rapita il 24 gennaio e non ancora restituita. Il 18 ottobre hanno trovato le sue ossa in un canale, ma da dieci mesi le sue emozioni, stanchezze e speranze, confini della routine e sguardo a orizzonti più spaziosi sono prigionieri di una sceneggiatura: un esercito di autori – giornalisti, conduttori tv, tuttologi, spettatori, lettori – riscrive su di lei la Madame Bovary di Gustave Flaubert, con un finale diverso dal suicidio. In questa coralità e nella caccia a pruriti di provincia è il successo – orribile dirlo – della sua storia.
Fin dall’inizio il marito Michele ha rilasciato interviste sulla vita limpida di Elena tra cortile e paese, nebbiosa tra Facebook e telefonino, narrando corteggiatori irriducibili e minacciosi. Forse in lui – al di là della sua posizione, prima vittima, poi indagato per omicidio – premeva anche l’umana urgenza di salvaguardare il proprio onore, negando una fuga che l’avrebbe sporcato e una morte cercata che diventa simbolo di fallimento.
Ha dato il via Michele, il resto è venuto come tempesta sulle vigne. Più di 700 segnalazioni in Italia e all’estero, tra conventi, bar, tram. Donne giunte alle telecamere quali amiche e che di quell’amicizia citavano «gli auguri a Natale». Poi un compagno di scuola, un amico, un caffè, una chiacchierata, fino a che sono diventati sei gli uomini che nessuno chiama amanti ma che tutti riscrivono ammiccando al giovane Léon o al ricco Rodolphe di Emma. E dal ripetere ossessivo che «non c’è niente di male a prendere il caffè con un conoscente quando il marito è fuori» si sprigiona l’allusione, mentre la cantilena di «Michele per ora è solo indagato» suona come il ferro di una ghigliottina.
Amori e gelosia di provincia, una fiction che vuol rievocare la Madame di Flaubert (ispirata a un fatto di cronaca) ma che potrebbe anche stare nella serie di don Matteo. Siamo avvezzi alle file di paraboliche: Novi Ligure, Cogne, Erba, la casa dei Gambirasio prima e di Bossetti poi. Siamo avvezzi alle ricostruzioni in studio e a quelle filmate, ora con i droni. Ma eravamo avvezzi soprattutto al duello colpevolisti-innocentisti. Avetrana e zio Michele Misseri, Melania Rea e il marito militare: anche lì si pascolava nel risvolto erotico, ma il piatto forte rimaneva il giallo. Qui la mano assassina – data per certa facendo finta di no – è soprattutto occasione per scoprire una Ceste della quale in verità si sa quasi nulla, se non che «era solare», «mamma perfetta», «ultimamente preoccupata». Come da copione. Al funerale di Emma Bovary dicevano: «Una così brava persona. E dire che l’avevo vista soltanto sabato scorso nella mia bottega».
Sfilano gli amici di caffè e l’Italia in giallo dipinge una doppia vita, che è sì pozzo in cui calarsi per le indagini, ma intorno si dilata in formicolii compiaciuti, come la storia familiare di Bossetti: una grandinata di «rivelazione choc», «testimonianza choc». Se qualcuno per apparire dicesse d’aver visto Elena cinque anni fa in un supermercato sarebbe «incontro-choc». E lo stereotipo della provincia, con la sua quieta o tormentata esistenza, si colora come i liquidi di contrasto in una Tac.
Senza l’avvio dato da Michele e senza il gusto per amori proibiti tra le colline, almeno fino al 18 ottobre Elena sarebbe stata una delle tante persone scomparse, con accorti investigatori che viaggiano per una strada uguale in provincia o in città, prima nel mistero di una persona sparita, poi in quello di una morte da chiarire. Ci sono ossa da interrogare, ma sono ormai inafferrabili dagli scrittori della sua quotidianità i pensieri di Elena non affidati a Facebook, pensieri semplici e complessi, solitari come quelli della Signora Bovary cantata da Francesco Guccini: «Ma che cosa c’è in fondo a questa notte, / quando l’ora del lupo guaisce / e il nuovo giorno non arriva mai, mai / e il buio è un fischio lontano che non finisce / di minuti lunghi come il sudore, / di ore che tagliano come falci / e i tuoi pensieri solo un cane in chiesa / che tutti prendono a calci...».
Michele Neirotti