Libero, 18 novembre 2014
L’Isis guadagna 6 milioni al giorno: tre con il petrolio più il contrabbando dei reperti archeologici, il saccheggio delle banche e i riscatti
Continuano a intrigare le finanze dell’Isis, e dopo che Forbes Israele ha stimato in 2 miliardi l’anno le entrate del gruppo di al-Baghdadi, è ora il Newsweek Magazine a pubblicare un’inchiesta in cui si parla di 6 milioni di dollari al giorno. Cifra fornita dal responsabile dell’intelligence del governo regionale curdo iracheno Masrour Barzani, appoggiata su dati forniti da analisti, agenti e funzionari statunitensi, curdi, iracheni e siriani. Forte del controllo su un territorio grande come l’Austria e con 8 milioni di abitanti, l’Isis ha oggi come principale fonte di reddito il contrabbando di petrolio, e controlla l’estrazione di 80.000 dei 3 milioni di barili al giorno dell’Iraq, e di 231.000 dei 385.000 della Siria. Per gestirlo si affida a reti di contrabbandieri, e soprattutto conta su complicità e connivenze negli apparati statuali di Turchia e Iran, malgrado i governi di Ankara e Teheran ufficialmente siano i suoi peggiori nemici. Ma proprio attraverso Turchia e Iran, oltre che attraverso la Giordania, passa anche un fitto contrabbando di reperti archeologici, da una zona che fu al centro dell’antica civiltà assira. Varie stime considerano che il contrabbando archeologico sarebbe la seconda fonte di reddito dell’Isis dopo il petrolio, e lo scorso aprile a New York un anonimo ha comprato per 605.000 dollari un cilindro di argilla coperto da caratteri cuneiformi di due millenni e mezzo fa, appartenuto al verdiano e biblico Nabucodonosor, e di dubbia provenienza. Ma prima di arrivare alla ribalta, negli ultimi due anni, l’Isis – quand’era solo una delle sigle che combattevano contro Assad – ha ricevuto fondi da privati dei Paesi del Golfo Persico, e anche dai governi a loro volta oggi ufficialmente suoi nemici di Arabia Saudita, Qatar e Kuwait, per almeno una quarantina di milioni di dollari. I governi hanno smesso, ma secondo Lori Plotkin Boghardt, fellow in Gulf politics al Washington Institute for Near East Policy, i privati continuano a mandare soldi, sfruttando i sistemi bancari e anche complicità influenti come quella del deputato kuwaitiano Mohammed Hayef al-Mutairi o dei finanzieri qatarini Tariq bin al-Tahar al-Harzi, Salim al-Kuwaru e Abd al-Rahman bin ’Umayr al-Nu’aymi. Il secondo avrebbe inviato due milioni di dollari, il terzo alcune centinaia di migliaia, il quarto 2 milioni di dollari al mese per vari mesi. Si parla poi del saccheggio delle risorse dei territori occupati: in particolare, delle loro banche. Almeno 20 milioni di dollari sarebbe arrivato all’Isis attraverso riscatti, e questo particolare asset è stimato da alcuni analisti fino al 20% del bilancio totale del gruppo. Non solo ostaggi occidentali, ma anche ragazze yazide rivendute come schiave.