Il Messaggero, 18 novembre 2014
Robert De Niro ricorda suo padre con un documentario presentato a Roma: «Era un grande pittore che visse nell’epoca sbagliata. Voglio rivelare a tutti il suo talento ma quest’opera è per far conoscere la sua grandezza ai miei figli e nipoti. Ho scoperto che fosse gay solo da adulto»
Tutto su mio padre. Tra commozione e ricordi, rimpianti e tenerezza. Robert De Niro ha accettato l’invito della Fondazione Cinema per Roma per presentare in anteprima europea il documentario su suo padre, il pittore Robert De Niro Senior morto di cancro nel 1993: “Remembering the Artist Robert De Niro Sr.”, proiettato ieri al Maxxi e introdotto da Mario Sesti. Diretto da Perri Peltz e Geeta Gandbhir, struggente e poetico, arricchito da filmati familiari e testimonianze, musicato da Philip Glass, il documentario andrà in onda su Sky Arte HD alle 21.10 il 28 dicembre, in esclusiva come ogni produzione Hbo.
In gran forma, 71 anni, due Oscar, sei figli e due nipoti, De Niro ha spiegato le ragioni del suo omaggio alla memoria del padre che non ebbe il successo meritato e visse sempre in conflitto con la propria omosessualità, che lo portò molto presto ad abbandonare la famiglia. «Mi sento in debito con lui, penso di avere una grande responsabilità»: alla vigilia dell’anteprima, il riservatissimo Robert ha concesso un’intervista al Messaggero a Villa Taverna, nella residenza dell’ambasciatore americano in Italia John R. Phillips e della moglie Linda Douglass. Ha ammirato commosso i due quadri del padre nella villa (per “Art in Embassies”) e ha parlato dei suoi sentimenti. Come un fiume in piena.
Perché ha voluto questo documentario?
«Per i miei figli e i nipoti: voglio che sappiano che grande artista sia stato Robert De Niro Sr. Avrei dovuto realizzare il film già dieci anni fa, ora sono contento di condividerlo con il mondo».
A che punto della sua vita si è reso conto che suo padre era un grande artista?
«Non c’è stato un momento preciso. Ho sempre saputo di avere un padre speciale e ne ero orgoglioso. Da piccolo non andavo alle sue mostre, ma amavo tutto quello che faceva».
Ha mai posato per lui?
«Purtroppo no, non avevo pazienza».
E ha mai avuto la tentazione di dipingere?
«No. Il mio amore per la pittura si limita ai quadri di papà. Li ho dentro casa, nei miei ristoranti e negli hotel. Voglio rivelare il suo talento a tutti».
Perché secondo lei non ebbe un grande successo?
«Il successo è una combinazione di fattori. Il talento, che lui aveva in abbondanza, non basta. Serve anche la fortuna. E lui ha dipinto in un’epoca sbagliata. La pop art, che esplose negli anni Sessanta a New York, fece di lui un artista fuori moda».
L’arte di De Niro Sr. ha influenzato il suo lavoro di attore?
«Credo a livello inconscio. Mio padre mi ha insegnato il gusto. Come del resto mia madre Virginia Admiral, pittrice e poetessa che dopo la separazione abbandonò i pennelli per mantenermi. Sono stato un figlio fortunato».
Come ricorda suo padre?
«Amoroso, pieno di premure. Era appassionato delle cose, gli piaceva discutere e scambiare opinioni con me. Anche se per vent’anni ci siamo visti poco, mi adorava ed era fiero della mia carriera. Ma tra noi, non ne parlavamo».
Oggi sente di somigliargli nel rapporto con i suoi figli?
«È un argomento troppo personale...ma sì, credo di essere un padre e un nonno affettuoso come lo era lui».
Era consapevole dell’omosessualità di Robert Sr.?
«Da ragazzo no. Ignoravo che lui vivesse la sua sessualità in modo tanto conflittuale. Apparteneva a un’altra generazione e di certe cose non si parlava. Ho capito la verità da adulto, grazie agli accenni di mia madre».
È cambiato, negli anni, il suo rapporto con suo padre?
«Non abbiamo mai formato una famiglia tradizionale. E per vent’anni, quando è partito per la Francia, è stato addirittura assente. Poi l’ho convinto a tornare a New York dove ha vissuto in un tipico loft da artista... Ma ci siamo sempre voluti bene».
Perché ha mantenuto intatto il suo studio a New York?
«I miei figli e i nipoti devono pensare a mio padre nel suo spazio vitale per capire la sua eredità morale».
Prova dei sensi di colpa nei suoi confronti?
«Ho il rimpianto di non averlo sufficientemente spinto a curarsi il cancro alla prostata. Lui si rifiutava, era terrorizzato, e io ero distratto dal lavoro... Se avessi insistito, forse sarebbe vivo».
Le piacerebbe interpretare suo padre in un film?
«Mi hanno proposto di scrivere un testo teatrale su di lui, ma non saprei da dove cominciare».
Cosa si aspetta dal documentario?
«Che faccia conoscere il suo talento. Se fosse qui gli direi: spero che ti piaccia».