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 2014  novembre 18 Martedì calendario

Il folp dell’Abenomics spinge il Giappone verso il voto anticipato. È la quarta recessione in cinque anni per la terza economia mondiale: Pil in discesa dell’1,6% nel terzo trimestre. Il governo si affretta a rinviare il secondo aumento dell’Iva

Il Giappone affonda nella quarta recessione in cinque anni e il premier Shinzo Abe è pronto a rinviare il secondo aumento dell’Iva in un anno e a tornare al voto anticipato dopo due. La terza economia mondiale si conferma il grande malato dell’Asia in crescita, la Borsa di Tokyo crolla fino a perdere il 2,96% e lo yen tocca il minimo sul dollaro dal 2007, toccando quota 117. I dati macroeconomici del terzo trimestre dell’anno si rivelano drammatici spaventano la zona euro.
Tra luglio e settembre il Pil giapponese ha perso l’1,6% su base annua, pari allo 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Una situazione ben peggiore delle previsioni, che stimavano un rimbalzo positivo del 2,1%. Nel secondo trimestre il calo era stato del 7,3%, dato peggiore da dieci anni tra le economie avanzate.
Per l’Abenomics, la politica ultra-espansiva del primo ministro e sostenuta dalla Banca centrale di Haruhiko Kuroda, è un colpo fatale. A infliggerlo, l’aumento dell’Iva dal 5 all’8%, applicato da maggio, che ha portato ad un crollo del 6,7% degli investimenti privati, non compensati dalla crescita dello 0,3% dei consumi delle famiglie. Appesantire la tassa sui consumi, in un Paese gravato da un debito pubblico prossimo al 240%, avrebbe dovuto finanziare welfare e sicurezza sociale. Ha invece interrotto la ripresa del 2013, con una crescita all’1,5%, innescata dal maxi allentamento monetario della BoJ, decretando la fine del governo e lo stop al secondo rialzo dell’Iva. Oggi Shinzo Abe dovrebbe annunciare lo scioglimento della Camera Bassa e le elezioni anticipate, tra il 14 e il 21 dicembre. La mossa, tesa a frenare il crollo di popolarità della destra conservatrice, consentirà il rinvio dell’aumento dell’Iva dall’8 al 10%, programmato per ottobre 2015.
Il nazionalista Abe, anticipando il voto nel nome della crescita, del ritorno a un’inflazione al 2% e del taglio delle imposte per le imprese dal 35 al 30%, spera di ottenere una maggioranza più ampia in entrambi i rami del parlamento, riducendo ai minimi il partito democratico, fautore del rigore. Tra le promesse, una politica economica ancora più espansiva, una riforma della Costituzione in senso militarista e un rapido riavvio delle centrali atomiche, fermate nel 2011 dopo l’avaria a Fukushima.
Il fallimento dell’Abenomics però pesa e l’economista Koichi Hamada, considerato la mente delle politiche anti-recessive di Tokyo, spinge ora per «ridurre, anziché aumentare, le tasse sulla società», affiancando «un allentamento fiscale ad allentamento monetario, incentivi e riforme strutturali». A gravare su Tokyo, oltre a recessione e scontro sull’addio alla Costituzione pacifista del 1945, è soprattutto la spaccatura sul ritorno al nucleare. Il Giappone ha chiuso i 54 reattori che gli garantivano il 30% dell’energia elettrica. A inizio novembre Sendai è stata la prima città a votare per il riavvio di due reattori, sostenuto dal governo.
La maggioranza del giapponesi, nonostante il boom delle importazioni nazionali di carburanti fossili e il record di emissioni di CO2, resta contraria e a favore di investimenti nell’energia pulita e rinnovabile. Shinzo Abe, sfruttando la recessione per rafforzarsi attraverso il voto anticipato, oltre che accelerare sul nucleare punta anche ad avviare il riarmo, per contrastare l’ascesa della Cina su Asia e Pacifico. L’ennesima crisi di Tokyo rischia ora di rallentare la ripresa in Europa e di appesantire la frenata della crescita cinese, senza far rientrare l’emergenza di una superpotenza gravata da trent’anni di bolle e dall’invecchiamento record della popolazione. Un effetto globale subito recepito a Bruxelles: con i «falchi» di Berlino che invitano la Ue a «non inseguire il Giappone seppellendo i debiti sotto altri debiti».