Libero, 18 novembre 2014
Il governo crede che quel tesoretto di 300 miliardi promessi da Juncker per la crescita e sviluppo in tutto il vecchio continente, spetti a lui: «I renziani già se lo stanno dividendo a briscola Regione per Regione». Ma così Renzi farà solo crescere il debito
In Italia è stata rivenduta come un piccolo trionfo personale di Matteo Renzi, e i cantori delle gesta del governo esultano come se quella lettera inviata dal presidente della commissione europea Jean Claude Junker al presidente di turno del consiglio europeo (il premier italiano) e al presidente dell’Europarlamento Martin Schulz avesse d’incanto diradato ogni problema di finanza pubblica per Roma. La leva con cui si solleverebbero gli scassatissimi dati macroeconomici italiani sarebbe tutta in quella promessa fatta da Junker di definire già entro fine anno i dettagli di quel piano di investimenti da 300 miliardi di euro in tre anni che dovrebbero aiutare crescita e sviluppo in tutto il vecchio continente. Gli italiani ne parlano ormai come toccasse tutto a loro quel tesoretto da 100 miliardi di euro l’anno. I renziani già se lo stanno dividendo a briscola Regione per Regione. Proprio ieri un parlamentare del Pd, Emanuele Lodolini, esultava per il progetto «macroregione» di cui si discute oggi a Bruxelles, spiegando: «È una grande opportunità di sviluppo per un migliore e più efficace utilizzo dei fondi strutturali in settori strategici quali turismo, trasporti marittimi e cultura. Lo sforzo da fare sarà inserire la Strategia della Macroregione adriatico-ionica nel piano Junker per accedere a circa 10 miliardi di euro, delle risorse, 300 miliardi complessivamente, che mette a disposizione l’Unione europea». Ovviamente anche se il piano Junker dovesse diventare operativo in tempi non biblici, la quota italiana di quella somma sarebbe assai ridotta e comunque vincolata alle regole classiche della finanza pubblica europea, le stesse che valgono per i fondi strutturali: io ti metto a disposizione questa cifre solo se tu la co-finanzi con risorse tue equivalenti o quasi. Per potere usare quei fondi sviluppo bisognerebbe averne dunque in cassa, e questo non sembra al momento il caso dell’Italia, che già tanta fatica compie ad utilizzare i fondi strutturali classici. C’è un limite in più che renderà assai più difficile per Roma piuttosto che per qualsiasi altro Paese europeo (Grecia a parte), accedere a quella iniezione di liquidità promessa dal presidente della commissione europea: quei 300 miliardi in gran parte sono destinati ad aumentare il livello di debito pubblico dei Paesi che ne usufruiscono. Perchè serviranno sì a finanziare le grande infrastrutture europee nei settori più avanzati, unendosi a finanze pubbliche e private, ma per quasi due terzi secondo il piano Junker saranno garantiti da prestiti della Banca europea degli investimenti. Per le regole di contabilità pubblica contenute in Sec05 i finanziamenti della Bei ricevuti dai vari Stati nazionali debbono essere classificati all’interno del debito pubblico dei vari Paesi esattamente come i prestiti che dovessero essere erogati agli Stati dal Fondo monetario internazionale. I finanziamenti pubblici della Bei rappresentano buona parte della quota diversa dalla emissione di titoli di Stato di cui è composto il debito pubblico italiano (un capitolo che riunisce anche altre categorie di prestiti e che oggi ammonta a poco meno di 150 miliardi di euro). Se l’Italia potesse accedere in maniera significativa al piano Junker dunque vedrebbe lievitare il proprio debito pubblico e a poco o nulla servirebbe l’eventuale crescita che quegli investimenti potrebbero provocare al Pil. Il rischio serio è che possa peggiorare ancora di più il rapporto debito/Pil italiano, andando inevitabilmente incontro alle sanzioni previste dal fiscal compact. Il piano Junker potrà invece essere utilizzato in maniera più significativa da Paesi che non abbiano particolari tensioni sul proprio debito pubblico. Saranno sicuramente in grado di beneficiarne la Germania e i Paesi satelliti del Nord Europa, e più dell’Italia sia la Francia che la Spagna. Non è il caso di esultare troppo a Roma...