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 2014  novembre 18 Martedì calendario

Nella casa di riposo Camogli, lì dove vanno i marinai quando lasciano il mare. Tra l’alzabandiera sulla balconata, il saluto delle navi e quegli aneddoti che riemergono da latitudini disparate

Il comandante Alessandro Bagioli, 78 anni, ha un solo rimpianto nella vita. «Avrei voluto studiare di più» dice passeggiando nell’ora ancora calda, subito dopo pranzo. «Mi sono imbarcato che ero ragazzino. A quell’epoca si pensava solo ad aiutare la famiglia. Ma con il tempo ho capito che avrei voluto un’istruzione migliore. Mi sarebbe servita, navigando. E specialmente adesso, che sto cercando di studiare le stelle e l’origine dell’universo. L’inizio. Che parola enorme... La grande domanda che mi tormenta è: cosa c’era prima, se non esisteva niente?». I gabbiani strillano sulle nostre teste, facendo giri storti. Profumo di rosmarino. In mezzo al mare calmo, due piccole barche da pesca sono l’unico riferimento fra qui e la linea dell’orizzonte.

Questa casa di riposo è una nave. Una nave immobile. Una nave di cemento e intonaco giallo: due piani, quaranta stanze, interni azzurri. Voluta da un avvocato figlio di marinai, inaugurata nel 1931 da re Vittorio Emanuele III, è l’unico ospizio italiano per marittimi. «Un posto davvero speciale» dice il direttore Antonio Rey. Non si può dargli torto: una casa di riposo pubblica, in un posto tanto bello. Da qui si vede l’intero Golfo Paradiso. Ogni camera è così vicina al mare, che ancora un po’ sembra di essere a bordo. «Un posto di socialismo reale – dice Rey – perché il costo del soggiorno è metà della pensione, indipendentemente dal grado del marinaio». 


C’è il mozzo Prospero Viacava, magro e muscoloso a 82 anni, con un quartino di rosso sul comodino: «Io sono sempre stato considerato uno strano e anche un po’ balordo – dice – non saprei spiegare perché. Ma questa è la vita...». C’è il macchinista Mario Cafieri, la voce identica a quella di Fabrizio De Andrè. Mangia un po’ d’uva dopo il sonnellino pomeridiano: «Stare in mezzo al mare non mi manca. Ci andavo per guadagnarmi il pane. Adesso il mio sogno è uguale a quello di tutti gli italiani. Vorrei vincere alla lotteria. Avere tanti soldi per fare nuovi viaggi». Il secondo ufficiale di bordo Domenico Cullati ha gli occhi pieni di ricordi, come scossi dal vento. Spaventi e dolcezze. «Quella volta che il mare in tempesta mi scaraventò giù dalla cuccetta, belàn. Che paura. Una paura tremenda. E non potevi mica tornare indietro». «Quella volta che il comandante ci incitò a scendere nel porto di Buenos Aires per cercare compagnia. E sì, in Argentina, avevamo trovato delle ragazze meravigliose...». 
Le camere sono tappezzate di mappe nautiche. Disegni di vascelli. Foto di donne amate. Foto di figli. Binocoli sui davanzali. Il tecnico di bordo Giuseppe Fontana, certe sere si mette di vedetta. «Succedono molte cose – dice – mi piace stare qui. Le mie figlie mi vorrebbero a Roma, ma io ho bisogno del mare». D’estate, quando la spiaggia scura è gremita di bagnanti, si vedono amori e tuffi. Ma lui giura che si possano fare scoperte anche in autunno, nei giorni di bonaccia: «È bello guardare le navi al largo». A bordo si occupava di frigoriferi e impianti di condizionamento, si curava del freddo mentre i turisti sui transatlantici andavano a cercare i mari tropicali. «Ho visto il mondo – dice Giuseppe Fontana – il mio posto preferito sono le isole Bermuda». 
Vecchi marinai. Stanno insieme. Si contano e si guardano invecchiare. A giugno erano in venti. A novembre sono diciotto. I ritmi cadenzati dalle abitudini, dagli orari della sala mensa. Oggi a pranzo: gnocchetti ai formaggi e spezzatino con verdure. Nei lunghi corridoi, senti mischiarsi canzoni diverse, stazioni radio e programmi televisivi. Senti la voce del palombaro Primo Conoscenti, 82 anni, infermiere di bordo e poeta. Declama i suoi versi davanti alla finestra: «È notte nel silenzio della stanza illuminata da un raggio di luna. Sento il profumo del tuo corpo nudo accanto al mio...». 
Non esiste un altro posto così in Italia. Se n’è accorto per primo il regista Alessandro Abba Legnazzi, che ha girato qui «Rada», un lungometraggio che verrà presentato lunedì al Torino Film Festival: «Sono memorie di marinai che non vogliono finire l’ultimo viaggio. Esprimono il barlume di un passato eroico e temerario». 
La metà dei letti sono vuoti. La casa dei marinai sta estinguendosi, come si estingue la nostra marineria. Le navi al largo ancora fanno il saluto. Ancora si ripete il rito dell’alzabandiera sulla balconata. Riemergono aneddoti da latitudini disparate. Quello preferito del comandante Bagioli è recente. «Me lo ha raccontato l’infermiere di bordo Primo Conoscenti, l’altra sera», dice. È la storia di una crociera in Sud America. Il comandante di quella nave aveva annunciato al microfono che avrebbe fatto vedere Capo Horn ai passeggeri. «Ma c’era mare grosso, le condizioni rendevano impossibile avvicinarsi. Aveva dovuto cambiare rotta, però non voleva smentire se stesso. “Eccoci”, aveva detto a un certo punto. E tutti i passeggeri, caproni, scattavano fotografie dai ponti. Solo una oceanografa, a bordo, aveva capito. Conosceva le mappe. Protestava... Sapeva che quello non era Capo Horn». Ecco cosa ammira e insegue ancora il comandate Bagioli, dopo tutti i viaggi della sua vita. La conoscenza.