La Stampa, 18 novembre 2014
All’Infernetto non vogliono gli immigrati di Tor Sapienza. È una «sistemazione temporanea». Ma nel paese in cui, come insegnava Giulio Andreotti, non c’è nulla di più definitivo del provvisorio
Solo su un punto sembrano tutti d’accordo. È una «sistemazione temporanea». Ma nel paese in cui, come insegnava Giulio Andreotti, non c’è nulla di più definitivo del provvisorio, nessuno sa quantificare i tempi di permanenza dei profughi adolescenti in questo angolo turbolento della periferia romana. Massicce cancellate e lucchetti ovunque. Nelle vie buie bivacchi di stranieri ubriachi,prostituzione ventiquattro ore al giorno e discariche abusive. Tra via Cristoforo Colombo e i campi il rifugio non propriamente rassicurante degli extracomunitari allontanati in tutta fretta da Tor Sapienza. Certezze poche, paure molte. Quel che è sicuro è che all’Infernetto una rete separa due mondi. Muro invisibile.
Da un lato i residenti che protestano per l’arrivo nel quartiere a sud della capitale degli immigrati trasferiti dal centro d’accoglienza di Tor Sapienza. Dall’altro i richiedenti asilo minorenni barricati nella struttura di via Salorno. «Non basta dare loro un maglione e un piatto di pasta, serve l’accompagnamento altrimenti il tempo trascorso in questi “non luoghi” provoca abbrutimento e senso di abbandono», afferma il vescovo Domenico Mogavero, commissario Cei per l’immigrazione. Abbandono, incuria, degrado. «Noi i rifugiati non li vogliamo, vadano via, qui ogni giorno ci sono furti negli appartamenti e con i nuovi arrivi la criminalità crescerà ancora», accusano davanti alle «Betulle», la cooperativa sociale che accoglie e nasconde gli «ospiti indesiderati» come bestie braccate.
Insomma è la stessa equazione che ha fatto esplodere di rabbia Tor Sapienza, immigrati uguale delinquenza. Al posto dei palazzoni c’è una ragnatela sterminata di case, ma lo scenario è uguale: polizia e carabinieri sorvegliano il centro blindato e i ragazzi fuggiti dalla miseria guardano dalle finestre scossi e impauriti. Hanno grandi occhi sbarrati e corpi esili. Dimostrano ancor meno dei loro pochi anni. Scappavano dalla paura e hanno trovato attimi di terrore. I profughi adolescenti, assicurano i volontari che li assistono, «sono di transito». Per trovare posto in case famiglia. L’unica speranza è che il calvario possa approdare a un posto sereno dove stare. Il colpo d’occhio non legittima facili ottimismi.
«Sono nato e ho sempre abitato all’Infernetto e posso garantire che è il posto meno adatto di Roma per mettere i richiedenti asilo- spiega Domenico Randesi, 42 anni-. “Le Betulle” non è assolutamente una struttura idonea e ora è stata ridotta a un bunker. Lì dentro non sono qualificati per assisterli. Mancano educatori, mediatori culturali e psicologi. Gli ospiti attuali si sono già presi a bastonate e altri immigrati più pericolosi stanno per essere trasferiti qui».
La collocazione è da borgata neorealista. Strade non asfaltate, allagamenti, né commissariati di polizia né stazioni dei carabinieri. Fiaccolate di protesta provano a incanalare in maniera pacifica la rabbia che cresce nel quartiere. «È scandaloso pensare di risolvere il problema spostando il problema da un territorio all’altro- grida Marta Simonelli-. Il sindaco Marino ha promesso che resteranno poco tempo ma temiamo promesse fatte solo per placare gli animi». Insomma la sollevazione anti-immigrati rischia di allargarsi. Tor Sapienza da polveriera diventa la miccia per innescare altri roghi che potrebbero incendiare molte zone della periferia romana. 35 mila abitanti presidiano il loro metro quadro di borgata.
Dopo gli amministratori locali, i bersagli preferiti della collera collettiva sono i mass media. «Dicono che siamo razzisti, però scaricano tutte le emergenze sociali nel nostro territorio- insorge Attilio, pensionato, due figli disoccupati-. Perché questi disperati non li portano ai Parioli o in centro? Quaggiù finisce quello che di Roma non va mostrato. Si ricordano di noi solo per scaricarci i problemi della città».