la Repubblica, 18 novembre 2014
Trent’anni di vita sempre in radio: Linus si racconta. «Sono ancora Peter Pan. Frequento gente molto più giovane di me e mi sento uno di loro. Nicola Savino è la mia spalla irrinunciabile, Marco Baldini lo conosco da tempo, è positivo ma ha un lato scuro»
L’artista che l’ha fatto più innervosire è stato Sting, ma anche gli attori «che fanno tanto i disinvolti, poi in radio si bloccano e ti raccontano solo la trama del film. Uno sforzo, no?». Linus, all’anagrafe Pasquale Di Molfetta, festeggia trent’anni ai microfoni di Radio Deejay. Direttore dal ’95, è voce e anima dell’emittente, conduttore in coppia con Nicola Savino di Deejay chiama Italia, complice di Elio e le Storie Tese a Cordialmente. Cinquantasette anni, asciutto, sguardo chiaro ironico, è fissato con la corsa: «Un bisogno fisico e ormai una mania. Avendo scoperto lo sport da anziano» spiega ridendo «spesso mi faccio pure male».
Ha sempre sognato di fare il dj?
«In verità no, quando studiavo speravo di fare l’illustratore o il grafico, a scuola ero quello “bravo a disegnare”. Per una serie di coincidenze mi sono trovato a fare la radio, pensavo fosse un passatempo con una data di scadenza».
Il passatempo è diventato la passione di una vita: cosa le dà la radio?
«Il rapporto con gli ascoltatori: prima non me rendevo conto, l’ho capito quando sono diventato il direttore. Ora che devo gestire la radio, le due ore della diretta sono uno spazio imprescindibile. Quando sono in vacanza vado in crisi di astinenza. E poi nessuno mi ha mai condizionato sui contenuti».
Dà la sensazione di essere un po’ Peter Pan: lo è?
«Il racconto di Peter Pan comincia con Wendy che gli attacca l’ombra. Ora che comincio a essere adulto faccio fatica ad attaccare l’ombra ai miei piedi. La mia quotidianità è fatta di gente molto più giovane di me e mi sento uno di loro. Ma non puoi fare finta, uno può essere giovanile finché vuole ma deve fare pace con l’età. Io cerco di ricucire l’ombra».
Com’è in famiglia? «A volte sono faticoso. Ho avuto anche momenti che non sono stati felici negli ultimi anni, li ho tenuti per me. Ho un blog: ogni volta che sentivo il bisogno di una spalla su cui appoggiarmi la gente reagiva male, non vuole sapere che il Mulino bianco non è bianco come sembra».
Che rapporto ha con la politica?
«Sono un uomo di 57 anni che non vive su Marte, la seguo, ho la mie idee. Nessuno mi ha mai detto da che parte stare, rivendico il diritto di critica. Sono amico di Matteo Renzi, condividiamo la passione della corsa ma se fa qualcosa che non mi piace non lo tengo per me».
Ha ospitato migliaia di ospiti, la situazione più imbarazzante?
«Sting è un personaggio che ci tiene a mantenere una certa distanza. Faceva questa roba ridicola: durante la messa in onda dei brani leggeva gli articoli in italiano su di lui sparsi sulla scrivania. Dopo di che, a microfono aperto, faceva finta di non capire la lingua».
Fa coppia con Nicola Savino: per fare un buon programma è meglio avere una spalla?
«Non lo cambierei con nessuno. È la mia cartina di tornasole, il mio reagente, senza di lui divento un po’ rigido. Insieme diventiamo una terza cosa, migliore: come latte e caffè fanno il cappuccino. Ci divertiamo. Ho un umorismo figlio di quello di Arbore, amo il gioco di parole da terza media. Non mi fa ridere la battuta greve».
Marco Baldini ha lavorato a Radio Deejay, ora ha lasciato Fiorello, ha gravi problemi con i creditori: che pensa di quello che è successo?
«Marco è esattamente quello che ho incontrato trent’anni fa. Di fondo ha una positività, ma è come se fosse due persone in una, ha un lato oscuro che salta fuori e che non ti aspetteresti. Ma è affettuoso e pure nei momenti economici peggiori era sempre di una generosità infinità, anche se non aveva soldi».
La corsa è la sua valvola di sfogo?
«Sì, e come tutte le passioni senili la vivo in modo ossessivo: in questi ultimi 15 anni ho corso 2500 chilometri l’anno, il mio corpo non è felicissimo».
Applica la teoria dei traguardi a tutto? «Sono fatto di traguardi, mai di nostalgia e di progetti a lunga scadenza. Mi piace avere un obiettivo da raggiungere che sia sufficientemente vicino».
C’è un successo intitolato Last night a deejay saved my life: un dj può davvero salvare la vita di qualcuno?
«Nel brano era inteso come la persona che ti svolta l’umore, a volte capita. A me piace la frase “I’m a dj, I’m what I play”. Rivendico un ruolo che si sta perdendo: al centro del programma metto le parole, è più importante quello che dico di quello che suono. Ma ci tengo alla musica».
La definizione dj le piace o è riduttiva?
«Mi piace sentirmela addosso anche se mi ha penalizzato perché circola lo stereotipo deejay-personaggio vuoto. Un disc jockey per me è quello che capta prima le mode, le tendenze. È la mia caratteristica, sono curioso a 360 gradi».
Il suo disco preferito?
«Rimmel di Francesco De Gregori».
Niente rock, in fondo è un romantico.
«De Gregori lo sa e mi prende in giro. La mia canzone preferita è Pezzi di vetro. La prima volta che l’ho intervistato gli chiesi il significato, mi sembrava che fosse molto ermetica. “Ero con la mia ragazza di allora a Trastevere” mi raccontò “e c’era questo tipo che camminava sui pezzi di vetro, molto fico, molto esotico. Lei gli cadde ai piedi, ci rimasi malissimo”. Da lì ho capito molte cose sulle canzoni».