la Repubblica, 18 novembre 2014
Il voto in Emilia Romagna e Calabria è una sorta di elezione di midterm per Renzi. Lunedì potrebbe essere proprio Salvini la figura che si pone in prospettiva come alternativa al centrosinistra. Soprattutto se, come è plausibile, avrà sconfitto Grillo ed ereditato una fetta consistente dei suoi consensi
Il novembre di Renzi non è fatto solo di alluvioni, screzi sulla riforma del lavoro, rivolta nelle periferie e qualche passo indietro nei sondaggi. C’è anche un mini-appuntamento elettorale domenica prossima che è quasi un “midterm” nostrano, sia pure molto circoscritto.
Si vota come è noto in Emilia Romagna e in Calabria, due segmenti significativi dell’Italia di oggi. Troppo poco, certo, per confermare o smentire la mappa politica emersa nelle elezioni europee di maggio. Ma abbastanza per richiamare l’attenzione del premier di ritorno dall’Australia. Ovvio che la tendenza all’espansione dei consensi prima o poi doveva arrestarsi e in fondo le percentuali di Renzi restano alte, grazie anche all’assenza di alternative. Tuttavia l’impressione è che l’opinione pubblica, a questo punto, abbia voglia di vederci chiaro nel fenomeno politico del 2014. Il giudizio sul personaggio diventa più maturo, meno condizionato dal dinamismo mediatico. E le difficoltà dell’autunno, in qualche caso più drammatiche del previsto, servono a misurare meglio i fatti del governo dopo le parole. Renzi sa che la prima fase del suo mandato si è esaurita per sempre. Ma proprio per questo ha bisogno di verificare il rapporto con gli elettori. Le regionali in Emilia Romagna e Calabria arrivano al momento opportuno: non sono un “test” troppo rischioso, ma nemmeno irrilevante. Vincere, e vincere bene, può rappresentare il modo migliore per proiettarsi con fiducia verso le scadenze di fine anno.
D’altra parte, le polemiche con le autorità regionali sulle cause del dissesto territoriale dicono molto circa la fragilità della situazione. Il successo di Renzi nei primi mesi di governo è stato rapido e impetuoso, ma può incrinarsi quasi alla stessa velocità. Chissà se il presidente del Consiglio si è ricordato in questi giorni delle altalenanti fortune di un ottimo riformatore come Gerhard Schroeder, che nel 2002 fu rieletto cancelliere in Germania anche in virtù del modo serio e tempestivo con cui affrontò le inondazioni di quell’anno, mettendo proprio i piedi nell’acqua, ma nel 2005 non seppe gestire con la stessa serietà un’analoga emergenza e ne pagò le conseguenze. In altre parole, a Renzi serve qualche risultato tangibile, che non sia solo l’arabesco infinito del patto con Berlusconi. Ma serve anche un conforto elettorale. E l’unico possibile passa oggi da Bologna e Reggio Calabria. Due regioni dove il centrosinistra è atteso domenica alla vittoria, ma poi si tratterà di valutare le cifre e il merito dell’affermazione.
La Calabria, dopo l’inquietante tramonto della giunta Scopelliti, dovrebbe aggiungersi con agio al conto delle regioni governate dal centrosinistra. Per Renzi sarà una notizia da valorizzare con la dovuta enfasi, visto che fino a pochi mesi fa non era scontata. Del resto, il centrodestra è diviso e i nomi presentati non proprio di primo piano. I grillini non incidono e la nuova Lega non è ancora arrivata così a Sud.
Quanto all’Emilia Romagna, il discorso è più complicato. S’intende che il candidato del Pd, Bonaccini, è favorito. Ma sarà interessante contare i voti e misurare il peso dell’astensione. Se c’è una parte d’Italia dove i quadri del partito tradizionale, il partito per cui Livia Turco piange in tv, sono ancora solidi, quella è l’Emilia Romagna. E se c’è un pezzo d’Italia centrale in cui Salvini può fare le prove generali per superare Berlusconi e dare legittimità alla sua ambizione di guidare l’intero centrodestra, esso ha ancora i contorni della regione “rossa”. Lunedì potrebbe essere proprio Salvini la figura che si pone in prospettiva come alternativa al centrosinistra. Soprattutto se, come è plausibile, avrà sconfitto Grillo ed ereditato una fetta consistente dei suoi consensi. Come dire che il piccolo “midterm” risolverà alcuni problemi a Renzi, ma gliene creerà di nuovi.