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 2014  novembre 18 Martedì calendario

S.O.S. cioccolato. Il caldo, un fungo e i golosi cinesi: ecco perché il cacao ci costerà sempre più caro. Prezzi raddoppiati, le grandi case lanciano l’allarme sui raccolti: «Nel 2030 non ce ne sarà più». Ma gli esperti frenano: solo speculazione

Aiuto, stiamo finendo il cioccolato! I golosi facciano scorta: entro il 2030 barrette, cioccolatini e perfino la vecchia tazza di cacao fumante, potrebbero essere solo dolci – è proprio il caso di dirlo – memorie del passato. A lanciare l’allarme due fra le maggiori case produttrici del mondo: il colosso americano Mars, che già da tempo denuncia il deficit fra produzione (oggi pari a 3,7 milioni di tonnellate) e domanda, deficit che raggiungerà il milione e mezzo di tonnellate entro l’amarissimo 2030. E ora gli svizzeri di Barry Callebaut Group, secondo cui la crescente richiesta di cioccolato, specialmente dai mercati asiatici, sta facendo volare i prezzi della materia prima, quasi raddoppiati nell’ultimo decennio, passati dai 1.465 dollari per tonnellata del 2007 ai 2.736 dollari attuali.
I motivi di tanta ristrettezza sono diversi. A colpire le piantagioni di cacao, che ormai non riescono più a produrre il quantitativo necessario a soddisfare la richiesta mondiale, sono innanzi tutto i cambiamenti climatici. Secondo dati dell’International Center for Tropical Agricolture della Fondazione Gates, la siccità che da diverse stagioni sta colpendo la produzione in Africa Occidentale ha devastato le piantagioni di Ghana e Costa d’Avorio, dove si produce il 53 per cento del cacao mondiale. Le restrizioni per l’epidemia del virus Ebola hanno sottratto un ulteriore 0,7%. Dall’altra parte del mondo, in Costa Rica e Brasile, che sono gli altri grandi produttori di cacao, è invece un fungo ad aver aggredito i raccolti: il cosiddetto frosty pod, “guscio gelato” che ha distrutto, secondo l’Organizzazione internazionale per il cacao, il 35 per cento dei raccolti e ha poi trovato la via per raggiungere l’Africa. Questo sta spingendo molti agricoltori ad abbandonare la coltivazione del cacao, passando a colture più semplici e sicure come il mais. E certo non ha incentivato altri: anche perché prima che un Theobroma cacao, l’albero di cacao, dia i suoi frutti servono almeno due anni di cure e per farlo diventare un albero resistente alle intemperie almeno 10. Mentre il cacao diminuisce, la richiesta aumenta: il nuovo ceto medio emergente in paesi come la Cina, l’India, ma anche il Brasile, ha sempre più fame di cioccolato, diventato uno status symbol. Nella sola Cina il consumo è già di 200 grammi pro capite, il doppio dell’anno scorso: ed entro il 2017 sarà il secondo più grande mercato mondiale cacao, dopo gli Stati Uniti. Basterà per tutti? «La mia impressione è che questo tipo di allarme sia lanciato per avvantaggiare qualcuno», dice Andrea Segrè, professore di Politica Agraria Internazionale all’Alma Mater di Bologna. «Quando si genera paura sui mercati i prezzi aumentano. E a speculare spesso sono gli stessi che creano allarmismi. Questa storia del cacao mi ricorda tanto la crisi delle commodities di qualche anno fa... I prodotti non scompaiono. La ricerca ha sempre trovato rimedi e nuovi metodi. No, queste stime non sono verosimili». In effetti, oggi i profitti delle grandi case produttrici sono in piena ascesa, per Barry Callebaut Group, ad esempio, più 11,7 per cento dell’anno precedente. E sembra dunque facile che più della gola degli appassionati, si preoccupino dei guadagni a venire. «Credo – prosegue Segrè – che stiamo andiamo verso un cioccolato a due velocità. Un prodotto realizzato col cacao migliore che avrà prezzi sempre più alti. E un prodotto di massa dove la presenza di cacao è minima». E che avrà, dunque, un sapore ben diverso dal cioccolato che conosciamo e amiamo: secondo Angus Kennedy, l’assaggiatore che i media inglesi hanno ribattezzato “Willie Wonka” come il protagonista de La fabbrica del cioccolato, sta già accadendo. Il prodotto sempre più “arricchito” da altri ingredienti come vaniglia, grassi vegetali e aromi chimici.
Intanto c’è già chi tenta i primi esperimenti per creare piante di cacao resistenti al clima e più veloci nella fioritura: come l’ecuadoriano Ccn51 che produce fino a 7 volte più di un albero normale. Peccato che il suo sapore sia terribile: “immondizia acida” secondo gli addetti del settore. Per il cioccolato, il verdetto più amaro che ci sia.