la Repubblica, 18 novembre 2014
La doggy bag ha conquistato l’Italia. Ormai una persona su tre non ha problemi a chiedere il cestino al ristorante per portarsi gli avanzi della cena o del pranzo a casa. È boom di locali che lo offrono ai clienti
Lo ha fatto Michele Obama quando è venuta in Italia. Per Emma, mamma romana di due bimbi, è la regola. Marco, se va in pizzeria a Bologna, non torna mai a casa senza. Sono solo alcuni esempi del popolo della “doggy bag”, versione anglofona della milanese schiscetta. Di quelli cioè che hanno dichiarato guerra agli sprechi e, proprio non ci stanno, a lasciare i resti di un piatto troppo abbondante o una bottiglia di vino bevuta a metà. Coloro che, insomma, perseguono una vita ad avanzi zero. Non più tirchi dunque, ma green.
Sbocciata tra i più informali americani, l’abitudine ad apostrofare a fine pasto i camerieri chiedendo il sacchetto delle rimanenze, si sta diffondendo nel nord Europa, in Inghilterra, in Francia ma anche in Italia. E non è, come verrebbe facile pensare, solo un fatto di crisi economica. Quanto di evoluzione del pensiero: il cibo si riscopre un bene prezioso e, come tale, va trattato. I ristoratori che, per anni, hanno riempito con rammarico i sacchi della spazzatura di ogni bontà, si adeguano e insieme al conto lo propongono ai clienti. Anche la Corte di Cassazione poi, con una sentenza del luglio di quest’anno, ha riconosciuto la doggy bag come un “inviolabile diritto” e risolto il conflitto tra il proprietario di un locale e un cliente.
Il tabù della vergogna però, per alcuni, rimane. Secondo una ricerca della Coldiretti, infatti, mentre un italiano su tre non ha problemi a portare a casa gli avanzi, il 24 per cento lascia sul tavolo ciò che non ha gradito perché s’imbarazza a chiedere. Solo un 10 per cento di disinvolti considera la doggy bag come una regola, mentre il 23 per cento la pratica saltuariamente. Per sdoganare la pratica, anche tra i più timidi, è nata “Il Buono che avanza”, rete di più di 120 ristoranti italiani promossa da Amicizia Onlus. Spiega il volontario Massimo Acanfora: «I senza fissa dimora ci hanno insegnato a non sprecare il cibo e così abbiamo sensibilizzato molti ristoranti italiani fornendo loro il materiale per ripristinare la schiscetta. Infatti, se è il ristoratore ad offrire il cibo, i clienti diventano più disinvolti». «Senza vergogna» sono invece gli stranieri in vacanza, raccontano da “Il Vecchio Ristoro”, in provincia dell’Aquila: «Chi arriva dall’estero chiede sempre di portare a casa i resti della cena. Tra gli italiani sono soprattutto i cinquantenni a volere sia cibo che vino, mentre i ragazzi non lo fanno mai».
Il ristorante “La Veranda”, a pochi metri da San Pietro, ha un giardino all’italiana e soffitti affrescati. Ma questo non impedisce ai clienti, magari in abito da sera, di uscire con la busta con il logo de “Il Buono che avanza”: «Ci chiedono soprattutto pane, dolce e vino aspettando però che il suggerimento arrivi da noi». La bottiglia di vino è il souvenir più gettonato tra gli affezionati del ristorante milanese “D’O”.
Ma il galateo come classifica la borsa gourmet? Secondo il sito “Il cerimoniale”, che fornisce consulenza 2.0 di buone maniere: «È giusto che anche il mondo della ristorazione si adegui alle nuove regole e, se la doggy bag diventa un modo di nutrirsi con più rispetto degli sprechi, è benvenuta. Vergognarsene è sintomo di provincialismo e, considerarlo disdicevole, è una forma superata che non tiene conto di come è cambiato il rapporto con i ristoratori». Promossi anche dal bon ton, dunque.
Attenzione però al sacchetto porta vivande. Dovrà essere naturalmente in cartone ecologico, con un disegno o magari una scritta spiritosa. Per uniformare la prassi la provincia di Trento ha distribuito più di 40 mila vaschette ai ristoratori. Mentre in un bistrò di Lione hanno inventato la scritta: «Chi lo ha detto che sono tirchio? Sono un eco-gastronomo!».