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 2014  novembre 17 Lunedì calendario

Le leggi sbagliate costano un euro ogni 10 minuti. Siamo 81esimi per grado di efficacia delle norme e 56esimi nella stima di quanto è resa facile la vita alle aziende

Riformare il Titolo V della Costituzione, per superare la legislazione concorrente e affidare i livelli minimi di semplificazione e informatizzazione delle amministrazioni pubbliche all’autorità centrale. Istituire un’agenzia che valuti la qualità delle leggi e il loro impatto su cittadini e imprese, coinvolgendo anche i soggetti privati, come esistono negli Usa, in Germania, nel Regno Unito. Rivedere in maniera profonda e sistematica lo stock della legislazione economica, per abrogare le norme complesse e disorganiche, adottando testi unici e codici snelli e chiari. Sono le tre richieste in cima al decalogo della Cna per “liberare l’Italia”: dieci proposte per la semplificazione, altrettante regole chiare, certe e trasparenti per riportare alla crescita le piccole imprese, e il Paese, anche attraverso il miglioramento della qualità delle leggi. Nella classifica che misura la qualità delle norme l’Italia è 81esima, la Germania 18esima. Una strada ritenuta obbligata dalla Cna per salvare il sistema Italia dalla “bestia” famelica, la macchina burocratica farraginosa e autoreferenziale che soffoca, quotidianamente, le imprese e le Pmi in particolare. E quasi certamente ha danneggiato l’apparato produttivo, e la voglia di fare impresa, come se non di più della stessa crisi economica. Un piano di interventi, straordinari e strutturali, scaturito dalla convinzione che un Paese in crisi di produttività e competitività acuta e annosa, come l’Italia, non può permettersi più l’ulteriore fardello di una burocrazia meno efficiente di quella dei partner europei. La burocrazia, secondo i calcoli del Centro Studi della Cna, costa a quattro milioni e mezzo di piccole imprese un euro ogni dieci minuti, sei euro all’ora, 48 euro a giorno lavorativo, 11mila euro l’anno. Per arrivare complessivamente alla sbalorditiva somma di cinque miliardi di euro l’anno sull’intera platea. Un “contributo” che nessuno invidia all’Italia, un macigno sicuramente determinante nella sconfortante posizione ottenuta dal Paese nell’indice “Doing Business 2015”, l’ultima, e recentissima, graduatoria della Banca Mondiale dei Paesi dov’è più (o meno) facile “fare impresa”. Una radiografia di 189 Stati nella quale l’Italia è scesa al 56esimo posto, dietro sia alle principali economie europee sia agli Usa e al Giappone, oltre a numerosi Paesi outsider che poi, non a caso, stanno scavalcando il nostro per sviluppo economico. Il freno allo sviluppo rappresentato dalla burocrazia, nel “Doing Business 2015”, è evidente, più ancora che nel risultato finale, in alcune delle statistiche settoriali che contribuiscono a realizzare l’indice. L’Italia, a esempio, è 116esima al mondo per facilità di ottenere licenze edilizie. È 141esima sulle modalità, i tempi, la chiarezza del sistema fiscale: solo per pagare le tasse una impresa media spreca 269 ore l’anno. È addirittura 146esima per i tempi necessari a ottenere il rispetto dei contratti. Pesante e più o meno visibile, la burocrazia “all’italiana”, caso unico al mondo fra i grandi Paesi sviluppati, appare insomma come un “mostro” che ruba tempo e risorse all’imprenditore, ai suoi dipendenti, all’intero sistema. E viene percepita, quindi, come un forte limitatore di crescita e di sviluppo che blocca al confine le iniziative economiche provenienti dall’estero e, spesso, fa scappare via quelle già insediate. Altrettanto significative e d’impatto, nella logica della semplificazione amministrativa, sono le successive sette proposte contenute nel decalogo della Cna per “liberare l’Italia”. Si comincia da tre leggi annuali, a scadenza fissa, che possano aiutare le micro, piccole e medie imprese a ripartire grazie a un’accelerazione della semplificazione e della concorrenza e a un provvedimento rivolto alle loro specifiche esigenze, individuate nel corso dell’anno. Si passa per l’istituzione di un’agenzia dedicata al coordinamento delle attività di ispezione e di controllo sulla falsariga del “Better Regulation Delivery Office” britannico, un’esperienza di successo nata dall’esigenza di sfrondare l’eccesso di verifiche cui erano sottoposte le imprese del Regno Unito. Rendere pienamente operative le Agenzie per le imprese per facilitare l’avvio delle attività imprenditoriali e alleggerire il peso economico e amministrativo della Pubblica amministrazione è il sesto gradino. Settimo è la valorizzazione degli sportelli unici per le attività produttive, una rivoluzione rimasta a metà, attraverso la standardizzazione di sistemi informatici, modulistica e procedimenti. L’ottavo punto del decalogo della Cna prevede l’integrazione dei sistemi informatici pubblici, un mare magnum dove convivono 82 sistemi di grandi dimensioni e 27mila intermedi, per realizzare il sistema pubblico di connettività: una operazione che, oltre a facilitare e velocizzare gli adempimenti delle imprese, prevede potenziali risparmi di spesa valutati dal Politecnico di Milano tra i 25 e i 31 miliardi l’anno. Rendere più efficiente e snello il sistema giudiziario civile rappresenta il successivo passo, che prevede: il potenziamento della mediazione, la valorizzazione delle sezioni specializzate per le imprese (includendo tra le competenze anche le controversie relative alle società di persone), l’attuazione del processo civile telematico. A completare il piano della Cna: l’introduzione di un credito d’imposta per portare in capo alla Pubblica amministrazione i costi sostenuti dai privati allo scopo di assolvere una serie di incomprensibili oneri burocratici e ammini-strativi. La burocrazia, secondo il Centro Studi della Cna, costa a 4,5 milioni piccole imprese un euro ogni dieci minuti, sei euro all’ora, 48 euro a giorno lavorativo, 11mila euro l’anno Scaffali pieni di carta, pratiche, dossier, leggi spesso di qualità bassa, le ricerche dicono che il carico burocratico in Italia è maggiore che nel resto d’Europa e che rappresenta una zavorra insopportabile per il sistema imprenditoriale nazionale L’indice “Doing Business 2015” misura dov’è più (o meno) facile “fare impresa”. Una radiografia di 189 Stati nella quale l’Italia è scesa al 56esimo posto