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 2014  novembre 17 Lunedì calendario

I vitalizi non si toccano. La rivolta dei superpagati dipendenti delle Camere e dei i 3.200 ex consiglieri. E parte la valanga di ricorsi anti-tagli

Ecco cosa accade in Italia quando si tocca un privilegio: scatta la rivolta della corporazione colpita, grande o piccina che sia. Non si è ancora posata la polvere sollevata dai mille ricorsi dei superpagati dipendenti delle Camere che a loro si uniscono i 3.200 ex consiglieri regionali. Un’altra valanga di ricorsi anti-tagli vengono annunciati da una lettera, indignata e accorata, spedita dalla loro associazione anche al Capo dello Stato. La parola d’ordine? Sembra recuperata in fretta e furia da qualche manifestazione di piazza: i nostri diritti non si possono toccare. E perché? Perché sono «acquisiti», spiegano. Tutto chiaro: chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto.
A RIPOSO A 41 ANNI 
Già, ma cosa si è dato e cosa si sta avendo? Può essere considerato un «diritto acquisito» quello di «Miss Vitalizio», ovvero della consigliera sarda Claudia Lombardo che alla incredibile età di 41 anni dall’anno scorso riceve un vitalizio di 5.100 euro netti al mese perché un codicillo di una leggina votata dai suoi colleghi glielo regala avendo la signora già superato il traguardo dei 20 anni di consiliatura? E al sesto anno della Grande Crisi è giustificabile che la Regione Lazio fino a tre giorni fa abbia concesso vitalizi a 50 anni ad una trentina di ex consiglieri (gli ultimi tre a settembre 2014) che versando poche decine di migliaia di euro ne riceveranno in cambio circa 1,2 milioni ognuno nei prossimi trent’anni? 
Se è vero che il concetto di diritto in Italia è ormai stravolto («Troppi italiani se hanno la sventura di andare in ospedale pensano di avere il diritto a guarire non a quello di essere curati», è l’illuminante sintesi del filosofo napoletano Aldo Masullo) è ormai chiaro che l’utilizzo di questa parola da parte delle corporazioni serve solo a coprire la difesa di privilegi insostenibili, innanzitutto sul piano morale ma da qualche anno anche su quello economico. I privilegi degli ex consiglieri regionali poi sono un caso di scuola. Prendiamo quelli del Lazio: tre giorni fa sono stati finalmente riformati. Ma fino a metà della scorsa settimana un ex consigliere regionale poteva andare a riposo a 50 anni; godeva della scala mobile anche se la sua pensione superava i limiti imposti agli altri italiani; aveva il vitalizio calcolato non solo sui contributi ma anche sui rimborsi spese (diaria); poteva contare su un codicillo che gli manteneva la pensione calcolata sugli stipendi in vigore prima del 2013 e non su quelli, ridotti, in vigore oggi e non aveva alcun limite al doppio vitalizio (tanto che un pugno di ex consiglieri se la spassano nell’iperdorato mondo di pensioni mensili da 11/12 mila euro netti).
Tutto questo è finito – almeno in parte – qualche giorno fa perché la spesa per i vitalizi della Regione Lazio era arrivata a 20 milioni e assorbiva più di un terzo dei 59 milioni spesi per la vita del consiglio regionale. In parole povere per mantenere i loro colleghi pensionati i consiglieri in carica non avevano neanche i soldi per acquistare un computer, fare una ricerca, studiare una legge. 
LA TAGLIOLA
Di qui la decisione del 10 ottobre della Conferenza dei 20 consigli regionali italiani di alzare a 65 anni l’età di accesso al vitalizio (o a 60 con penalità) di tassare per alcune centinaia di euro i vitalizi in pagamento e di aumentare questa tassa per chi ne percepisce due o tre.
Finora le Regioni che sono passate ai fatti varando una legge sono: Lombardia, Trentino, Molise e Lazio. Il Lazio, in particolare nel 2015 risparmierà 5 dei 20 milioni di spesa prevista. Tra le altre anche Piemonte, Campania e Toscana sono in dirittura d’arrivo.
Di qui la rivolta dei 3.200 ex-consiglieri che ora puntano ad arrivare alla Corte Costituzionale in nome degli intoccabili «diritti acquisiti». Ma stanno proprio così le cose? Secondo un parere del senatore e giuslavorista Pietro Ichino il racconto dei «diritti acquisiti» è una frottola politica. «La sentenza 446/2002 della Consulta parla chiaro – scrive Ichino sul suo blog – il legislatore può – al fine di salvaguardare equilibri di bilancio – ridurre trattamenti pensionistici già in atto che...se non possono essere eliminati...possono subire gli effetti di discipline più restrittive introdotte non irragionevolmente».