La Stampa, 17 novembre 2014
Petrolio, i raid aerei costano al Califfo quasi 9 milioni al giorno. Per trasportare il greggio i trafficanti si servono di piccole autobotti, pulmini, pick up, zattere o anche taniche legate alle schiene di asini che raggiungono piccoli depositi, situati nei pressi delle frontiere. Tutto per eludere le sanzioni Onu
Autobotti, pulmini, pick up, taniche a dorso d’asino, zattere e tubi interrati: sono gli strumenti che i miliziani jihadisti dello Stato Islamico (Isis) adoperano per vendere oltrefrontiera il greggio estratto in Iraq e Siria, garantendo al Califfato entrate che si aggirano sul milione di dollari al giorno.
A descrivere il metodo con cui il Califfo Abu Bakr Al Baghdadi alimenta la propria Jihad sono documenti dell’Agenzia internazionale per l’Energia e del Congresso di Washington che attestano come i raid aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti, iniziati l’8 agosto, hanno contribuito a ridurre il traffico di greggio ma non a bloccarlo: le entrate giornaliere dalle vendite illegali sono infatti scese da 3 milioni a circa un terzo. Si tratta comunque sempre di una cifra considerevole per il Califfato, da qui l’attenzione per il percorso seguito dal petrolio contrabbandato.
L’origine sono i pozzi controllati, ovvero il 60 per cento di quelli siriani e circa 350 in Iraq. È da qui che si dirama un sistema di distribuzione che ricalca in gran parte il precedente creato da Saddam Hussein negli Anni Novanta per evadere le sanzioni Onu. Gli uomini del Califfo affidano il greggio estratto ai trafficanti, incaricati di farlo arrivare in Turchia, Giordania e Kurdistan dove vi sono acquirenti che pagano circa 40 dollari a barile, rispetto ai 71,4 del mercato. I trafficanti si servono di piccole autobotti, pulmini, pick up o anche taniche legate alle schiene di asini che raggiungono piccoli depositi, situati nei pressi delle frontiere. È da queste case, tende o ruderi che partono tubi interrati, con lunghezze che consentono di arrivare sul lato opposto del confine, dove sbucano in superficie dentro luoghi chiusi, nei quali si trovano gli acquirenti. Le compravendite avvengono a distanza e sono comandi via cellulari ad ordinare ai rubinetti delle mini-cisterne di «aprirsi» o «chiudersi» per far arrivare il greggio a destinazione. In questa maniera Isis esportava 80 mila barili al giorno fino ad agosto, ed ora si sono ridotti a 18-20 mila.
Sono molteplici le aree degli «attraversamenti di greggio» ma una delle zone più sfruttate è il passaggio attraverso il fiume Oronte, all’altezza della città siriana di Ezmerin dove i jihadisti hanno sepolto in direzione della Turchia circa 500 tubi sotterranei, che attraversano anche il corso d’acqua. Si stima che circa l’80-90 per cento degli abitanti nel villaggio turco di Hacipasa siano coinvolti nel traffico di greggio che produce un indotto oramai determinante per gran parte della provincia di Hatay. Le autorità di Ankara da un lato danno la caccia ai trafficanti – sono riuscite a neutralizzare un tubo sotterraneo lungo 4,8 km – ma dall’altro esitano ad azzerare del tutto il contrabbando. Senza contare che spesso vengono beffate: è avvenuto ad esempio quando apposite «zattere» sull’Oronte hanno fatto arrivare la merce a destinazione.
La capacità del Califfato di ripetere le esportazioni illegali di greggio di Saddam ripropone la possibilità che ex militari del Baath siano al servizio di Al Baghdadi, forse spinti dall’avversione contro gli sciiti. Ma non è tutto perché l’osservazione dell’export di greggio porta a ritenere che il Califfo stia cambiando tattica: sempre più spesso lo adopera per cementare il consenso popolare. Un crescente numero di barili viene infatti destinato al «mercato interno», vendendo il combustibile per auto e case a prezzi stracciati oppure – come a volte à avvenuto – a consegnarlo gratis.