La Stampa, 17 novembre 2014
Dove finiscono gli immigrati salvati da Mare Nostrum? Sui 61.238 richiedenti asilo, il 23% è stato sistemato in Sicilia, il 13% nel Lazio, il 10% in Puglia, l’8% in Lombardia. E la Camera apre un’inchiesta sul trattamento nei centri di accoglienza
Litigano da giorni. È successo anche ieri. Il ministro Angelino Alfano, infatti, non vuol finire nel tritacarne di Tor Sapienza e lascia volentieri il cerino a Ignazio Marino: «Il luogo lo sceglie il sindaco e il Viminale gli dà i soldi. Punto. Altrimenti stiamo facendo i prestigiatori». Il sindaco alza pubblicamente gli occhi al cielo per far capire che si trova a fronteggiare scelte altrui, e si lamenta: «Possibile che qui (a Roma, ndr) debba esserci un immigrato su cinque che arrivano in Italia?».
Per capire, serve qualche punto fermo. I dati ufficiali del ministero dell’Interno, aggiornati al 31 ottobre, dicono che sono 61.238 gli immigrati – i richiedenti asilo che le navi di Mare Nostrum hanno salvato nel Mediterraneo – ospitati a spese dello Stato. Ebbene, il 23% di essi è stato sistemato in Sicilia, il 13% nel Lazio, il 10% in Puglia, l’8% in Lombardia, e così via. In effetti il Lazio deve accogliere quasi il doppio di immigrati della Lombardia, ma la Sicilia batte tutti di gran lunga: qui sì che c’è un immigrato ogni cinque.
Il tema è esplosivo. Ci si sta per mettere anche la Camera dei deputati, che oggi dovrebbe varare una commissione d’inchiesta sul «trattamento dei migranti nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione». La commissione nasce da ben tre proposte-fotocopia: una del Pd (Emanuele Fiano), una di Scelta Civica (Mario Marazziti), una di Sel (Nicola Fratoianni). «Siamo tutti d’accordo, anche quei colleghi che la pensano all’opposto di me, che è bene fare luce su quanto avviene in questi centri gestiti dal ministero dell’Interno», spiega il relatore, Gennaro Migliore, ex vendoliano, ora Pd. L’idea di una commissione d’inchiesta nacque sull’onda dello scandalo di Lampedusa, quando si vide il filmato di alcuni profughi che venivano tenuti nudi in uno stanzone e lavati con il getto d’acqua. Fu uno choc perché si pensava che il trattamento rude fosse un’esclusiva dei centri per le espulsioni, non anche in quelli per i richiedenti asilo. Nel frattempo sono arrivate varie denunce su ruberie, trattamenti sotto lo standard, inefficienze. E poi si moltiplicano i casi di periferie in rivolta contro i centri per immigrati.
Dove vada a parare la nuova commissione d’inchiesta, è chiaro fin dalla legge istitutiva: «Accertare se nei centri si siano verificate condotte illegali e atti lesivi dei diritti fondamentali e della dignità umana». In tutta evidenza sul banco d’accusa ci finirà la polizia. E si spiegano così certe asperità nel dibattito parlamentare. Ignazio La Russa, FdI: «Questa è un’operazione di schifoso razzismo nei confronti degli italiani». Di contro Emanuele Fiano, Pd: «Dobbiamo dire al Paese se le condizioni di vita in quei centri sono consone alle nostre leggi, alla Costituzione, alla Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo».
Se è esploso il fenomeno dell’accoglienza per i richiedenti asilo, è divenuto invece residuale il sistema dell’identificazione ed espulsione. Era un cavallo di battaglia della destra, al punto che l’ex ministro Maroni nel 2011 volle allungare il trattenimento nei Cie (al Viminale aborrono all’idea di chiamarla detenzione, ma non è che la sostanza sia diversa) fino a un massimo di 18 mesi e progettava di aprirne tanti altri di questi centri. Nel frattempo, all’opposto, diversi Cie sono stati chiusi e attualmente ce ne sono solo 5 in funzione (Torino, Roma, Bari, Trapani, Caltanissetta) per complessivi 500 posti letto. Sono fortemente diminuiti anche i numeri. Nel 2013 erano stati trattenuti 6.016 stranieri (di cui 2.749 i rimpatriati); nei primi sei mesi di quest’anno, 2.124 (di cui 1.036 rimpatriati).
La permanenza media nei Cie è stata di 55 giorni a Bari, 24 a Caltanissetta, 32 a Roma e Torino, 50 a Trapani. Il sistema, insomma, funziona abbastanza. Non meraviglia, allora, che qualche giorno fa, con il beneplacito del ministro Alfano, il Parlamento abbia rivoluzionato le norme, imponendo un massimo di 3 mesi di trattenimento nei Cie per chi dev’essere identificato ed espulso. Quando sono ex detenuti, poi, il massimo si riduce a 1 mese, visto che vengono già identificati dall’amministrazione penitenziaria.