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 2014  novembre 17 Lunedì calendario

«Si tratta di interpretare in modo più ragionevole la correzione per il ciclo ai fini del calcolo del pareggio strutturale. Nel frattempo l’Italia deve fare le riforme per attirare investimenti privati. Mi riferisco per esempio al Jobs act, alla semplificazione, alla giustizia: occorre accelerarne l’approvazione e soprattutto l’attuazione». Intervista a Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti

Il piano europeo di investimenti da 300 miliardi, il cosiddetto piano Juncker, è molto importante ma potrebbe non bastare per far ripartire la crescita, in particolare in Italia. Ci vuole anche altro. A dirlo è Franco Bassanini, presidente della Cassa depositi e prestiti che ha partecipato al gruppo di lavoro presieduto dal sottosegretario alla Presidenza, Graziano Delrio, incaricato di definire il pacchetto di investimenti italiani da proporre a Bruxelles. Secondo lui servirà un impegno aggiuntivo per attrarre gli investimenti privati, riforme strutturali, nuove regole e strumenti e anche un’applicazione meno penalizzante delle regole di bilancio europee. 
«Si dovrebbe ritornare all’origine del patto di Stabilità e crescita» e rendersi conto che «in tutta Europa servono molti più investimenti». Per l’Italia in particolare poi, «la lunga recessione, certo straordinaria, la quasi deflazione e da ultimo l’intensificazione dei fenomeni di dissesto idrogeologico dovrebbero suggerire l’applicazione delle clausole di flessibilità previste nei trattati» che «darebbero più spazio finanziario per gli investimenti dilatando i tempi di riduzione di debito e deficit». 
L’Italia dovrebbe chiedere dunque deroghe alle regole previste per tutti i Paesi dell’Unione Europea? 
«No, non si tratta di deroghe ma di applicare regole già previste nel patto di Stabilità. E di interpretare in modo più ragionevole la correzione per il ciclo ai fini del calcolo del pareggio strutturale. Nel frattempo l’Italia – come altri Paesi europei – deve fare le riforme per attirare investimenti privati. Mi riferisco per esempio al Jobs act, alla semplificazione amministrativa e burocratica, alla riforma della giustizia: occorre accelerarne l’approvazione e soprattutto l’attuazione. In questo ambito entra anche la stabilità delle regole (tributarie e non solo), perché gli investitori vogliono certezze. Ma so che il governo sta preparando un provvedimento dedicato proprio ad incentivare e attrarre investimenti in Italia». 
E i fondi del piano Juncker, che l’Italia ha chiesto di utilizzare per 40 miliardi così da finanziare progetti per 78 miliardi, che impulso potranno dare alla crescita? 
«Molto significativo, ma forse non sufficiente. Bisogna vedere innanzitutto quanti fondi del piano andranno a noi e in che tempi. L’importante è privilegiare tre obiettivi nella scelta dei progetti da finanziare: la concreta realizzabilità nei prossimi 3 anni, e soprattutto l’apertura dei cantieri già nel 2015; la capacità di contribuire alla crescita e al recupero di competitività; la possibilità di attrarre quote importanti di risorse private». 
Nel pacchetto di progetti presentati a Bruxelles, la maggior parte sono micro investimenti largamente dedicati al recupero del dissesto del territorio. Anche qui potranno intervenire i privati? 
«In questo caso si tratta di interventi tipicamente riservati allo Stato e agli enti locali perché difficilmente i privati potrebbero ricavarne un reddito. Così anche nel settore dell’istruzione. Invece nel campo delle infrastrutture – dall’intervento per lo sviluppo delle reti di telecomunicazioni di nuova generazione, alle autostrade, porti e aeroporti, allo stoccaggio di gas – l’interesse dei privati può essere consistente e l’apporto di capitali e finanziamenti privati potrebbe liberare risorse pubbliche da destinare alla manutenzione del territorio e alla scuola». 
In questa prospettiva quale sarà il ruolo della Cassa depositi e prestiti? 
«Un ruolo comunque centrale. È bene chiarire che la Cassa, la cui attività tradizionale è finanziare gli investimenti dello Stato e degli enti locali, utilizza non soldi pubblici ma il denaro dei risparmiatori, che comprano i suoi prodotti (libretti e buoni fruttiferi) allo sportello postale, e la raccolta fatta sui mercati con l’emissione di obbligazioni. Dunque debiti che deve restituire con gli interessi. La Cdp, che lavora spesso assieme alla Bei, la Banca europea di investimenti, può fare però da volano o catalizzatore per i prestiti privati». 
In che modo? 
«Prendiamo per esempio le risorse del programma europeo. Mettiamo che lo Stato decida di mettere 500 milioni di fondi europei in un Fondo di garanzia costituito ad hoc a cui le società di telecomunicazioni possono accedere, se presentano progetti meritevoli di accedere al credito d’imposta, previsto dal decreto sblocca Italia: bene, per finanziare questi progetti, potrebbero utilizzare la garanzia pubblica per ottenere prestiti a lungo termine a condizioni molto favorevoli dalla Bei, dalla Cdp ed eventualmente dalle banche. Con 500 milioni di risorse europee si potrebbero attivare dai 5 ai 10 miliardi di investimenti». 
Ma nel caso degli interventi sul territorio? 
«È difficile coinvolgere i privati, ma se si ottengono fondi europei, la Cdp potrebbe anticipare i finanziamenti, con la garanzia dello Stato, in modo da far partire subito i cantieri».