Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 17 Lunedì calendario

Nel Pd c’è la guerra dei gattopardi, ma all’Italia in recessione serve una forte politica espansionistica. Se Renzi realizzasse le riforme sarebbe un miracolo, una vera rivoluzione

Pubblichiamo un estratto della nuova edizione del libro di Alan Friedman «Ammazziamo il Gattopardo», in uscita mercoledì per Rizzoli 
Nell’estate e autunno del 2014 la politica italiana è dominata dalle questioni del Jobs Act, dell’articolo 18 e della legge di Stabilità del governo Renzi. Il dibattito sull’articolo 18, la petulanza della leader della Cgil, Susanna Camusso, e la durezza della risposta di Matteo Renzi alla Cgil e agli ultrà del Pd fa cambiare qualcosa. C’è un defining moment in corso. 
Nell’autunno del 2014 qualcosa di particolare succede nel panorama della politica italiana. A un certo punto, nel dibattito, si passa dalla polemica sulla politica degli annunci di Renzi a una discussione sulla sostanza, sulle scelte dure e difficili che aspettano gli italiani. Si mette in dubbio il potere di veto dei piccoli partiti. Si mette in dubbio la validità del vecchio modello di concertazione tra le forze sociali e la Confindustria. 
Si mette in dubbio la rilevanza della Cgil, un sindacato che non ha saputo rinnovarsi e prendere in considerazione i veri problemi dei giovani, dei precari, e che si è trasformato in un partitino di pensionati guidato da una leader che parla con la retorica degli anni Settanta, con quella nostalgia per il cattocomunismo di un’altra epoca. 
Perché alla fine dell’ottobre 2014 assistiamo a un momento spettacolare nella politica italiana, un momento di contrasto e di durissimo scontro, molto forte, e probabilmente storico. 
Nel weekend del 25-26 ottobre 2014 Matteo Renzi ha zittito Susanna Camusso e ha sfidato tutti i dissidenti della sinistra radicale del Pd con un’alternativa secca: mettersi in riga o andarsene. 
Il 25 ottobre, a Roma, la Vecchia Guardia del Pd tenta disperatamente di fare la voce grossa con il governo, portando centinaia di migliaia di persone in piazza. Esattamente nello stesso momento si svolge a Firenze, nella ex stazione della Leopolda, l’annuale convegno e cosiddetto «laboratorio» di Renzi, quinta edizione, ma per la prima volta in versione governativa. 
Il vero significato di quel weekend politico di fine ottobre è che ha offerto un’occasione per osservare da vicino il passato e il futuro, dalla manifestazione old-fashioned della Cgil, il Camusso Show a San Giovanni a Roma con i «reduci» della sinistra radicale del Pd, allo spettacolo del durissimo intervento del premier. 
Renzi ha ancora una volta dichiarato guerra ai gattopardi dentro il suo partito e ha praticamente rivendicato un «New Pd». Renzi, alla Leopolda, ha lanciato una versione italiana del New Labour. Si è mostrato un Tony Blair redux. O forse qualcosa di più complesso. Perché quando Blair è arrivato al potere nel 1997 la maggior parte del lavoro sporco, dalle riforme del mercato del lavoro e del welfare alle privatizzazioni e altre manovre, era già stato fatto, dalla Thatcher. Blair ha domato qualche sindacato, ma la vera gara era già stata vinta da tanti anni, dalla Thatcher quando aveva sconfitto il leader dei minatori britannici, Arthur Scargill, negli anni Ottanta. Quindi in questo momento Renzi, in effetti, gioca il ruolo di entrambi, sia di Blair sia di Thatcher. E la Camusso sembra il capo sconfitto dei minatori. Susanna Camusso si arrampica sugli specchi della storia, cercando disperatamente rilevanza, incapace di riconoscere la sua sconfitta, la sconfitta della Cgil, il momento storico. 
Oggi, alla fine del 2014, prosegue la guerra dei gattopardi della sinistra e del Pd. A un anno dalle primarie le polveri non sono ancora spente. La rabbia fredda di D’Alema sui muri del Nazareno, Bersani che si aggira come un pugile suonato, e poi Fassina, Civati, Vendola. 
Forse per le loro frustrazioni e un certo cinismo, comprensibilissimo dopo decenni di malgoverno, gli italiani un po’ non ci credono e un po’ non hanno ancora la percezione del cambiamento che Renzi ha avviato, della sua portata. La verità è che, finché non vediamo tutti i contenuti e poi l’attivazione delle leggi approvate in Parlamento, non possiamo giudicare l’efficacia del programma Renzi. 
Renzi sta vincendo, anche se talvolta in modo un po’ improvvisato, ma alla fine sembra efficace in questo momento di recessione cronica e alta disoccupazione, un periodo di crisi talmente prolungato che bisogna chiamarlo col suo nome: depressione. 
In un momento di depressione c’è bisogno di una forte politica espansionistica che utilizzi strumenti keynesiani come investimenti pubblici per stimolare occupazione e domanda interna. In Italia, dove la legge di Stabilità del governo Renzi vuole essere una manovra espansionistica, per via del peso del debito pubblico e dei vincoli europei non è permesso fare molti investimenti pubblici. Una delle vere sfide per Renzi sarà di sapere se e quando sarà necessario sforare davvero il limite del 3 per cento, pur di offrire ossigeno ai suoi connazionali in un momento di depressione economica. 
Ora, in Italia, c’è un forte bisogno di cambiamenti radicali e urgenti. C’è un Paese seriamente a rischio, ma per fortuna c’è anche un Paese che vuole cambiare davvero, che vuole uscire dalla palude, questo è chiaro. Come giudicare Renzi e le riforme del 2014? Primo, se vanno in porto riforme vere, radicali e non diluite, e secondo se creano le precondizioni migliori per la creazione di posti di lavoro in un’economia finora solo stagnante e sofferente. Se andassero in porto e diventassero realtà tre quarti o anche due terzi delle riforme messe sul tavolo da Renzi nel 2014 sarebbe un miracolo italiano, una vera rivoluzione. 
A patto che non diventino riforme finte, o mezze misure, o riforme gattopardesche. Bisogna andare fino in fondo. Bisogna fare le riforme. Bisogna ammazzare ’sto Gattopardo. 
Nell’Italia di oggi, non c’è alternativa.