la Repubblica, 17 novembre 2014
Al mondo non frega niente di indossare i Google Glass. Sono belli, innovativi ma anche inutili: «Il punto è che, passata l’eccitazione della novità, la domanda che uno si fa è: perché? ne ho bisogno davvero? migliorano forse la mia vita? La risposta finora è no». Sviluppatori e investitori iniziano a ritirarsi per «mancanza di mercato». Il lancio è rimandato al 2015
Ok Glass!, abbiamo scherzato. Ci siamo sbagliati. Oppure, quantomeno, non è il momento. Insomma, indietro tutta. I Google Glass, uno dei prodotti simbolo dell’innovazione tecnologica di questo decennio, potrebbero essere già un colossale flop. Il condizionale è una cautela necessaria, visto che tante volte in passato alcuni prodotti sono partiti in sordina e sono poi cresciuti col tempo, magari cambiando l’utilizzo previsto.Ma in Silicon Valley molti ormai suonano le campane a morto per gli occhiali lanciati dai fondatori di Google, Larry Page e Sergey Brin ormai più di tre anni fa. Sembrava l’inizio di un nuovo mondo: un mondo abitato di super-umani sempre collegati alla rete tramite un mini-schermo davanti all’occhio destro comandato con un battito di ciglia o, meglio, con l’espressione “Ok, glass!”.Ok Glass, scatta una foto, registra un video, dimmi chi ho davanti, dammi le ultime notizie. Sembrava l’inizio di un nuovo mondo, un mondo che preoccupa non poco i difensori della privacy, ma in effetti non è mai arrivato.Va detto che molti addetti ai lavori il de profundis lo avevano intonato subito: accanto ai tanti che dissero che «gli occhiali di Google avrebbero preso il posto dei telefonini», altrettanti hanno avvertito subito non sarebbero serviti a nulla perché nessuno voleva andare in giro vestito come un cyborg impaurendo i vicini e quindi nessuno li avrebbe comprati.Un anno fa lo disse anche il grande capo di Apple, Tim Cook, ma la sua osservazione ricordava, a ruoli invertiti, quella celebre e infausta del numero uno di Microsoft Steve Ballmer a proposito dell’iPhone appena presentato da Steve Jobs: «Sarà un prodotto di nicchia», disse accompagnando la frase con una di quelle sue leggendarie risate che sembrano tuoni. Beh, ancora se ne pente.In realtà oggi a pentirsi sono tutti quelli che hanno scommesso sui Glass. Come il famoso blogger Robert Scoble la cui vicenda è esemplare perché non si tratta di un avversario della azienda di Mountain View, anzi. Era l’aprile del 2013 e Google aveva messo i primi ambitissimi esemplari a disposizione di un migliaio di “esploratori” volontari in cambio di 1.500 dollari a pezzo. Bene, Scoble si fece immortalare con gli occhiali mentre rideva sotto la doccia (la foto ovviamente divenne subito virale) e disse testualmente: «Non me li leverò neanche per farmi la barba». Otto mesi dopo la svolta: «Basta, non li uso più».Il punto è che, passata l’eccitazione della novità, la domanda che uno si fa è: perché? ne ho bisogno davvero? migliorano forse la mia vita? La risposta finora è no. Perché non sempre quello che è tecnologicamente possibile e che ci fa esclamare “wow” è anche utile. E quando questo accade, il flop è inevitabile.Adesso, a supporto delle previsioni funebri, arrivano alcuni numeri e fatti incontrovertibili. Il primo: di sedici sviluppatori di applicazioni per i Glass, interpellati dall’agenzia Reuters, sono già nove quelli che hanno detto di essersi ritirati per mancanza di mercato e altri tre hanno deciso di concentrarsi su un utilizzo per business e non per il pubblico (a proposito, anche Twitter qualche giorno fa si è tirata indietro). Il secondo: i Glass sono il primo prodotto uscito dal misterioso Google X, laboratorio per progetti “lunari”, ovvero in grado di cambiare il mondo; bene, alcune delle persone chiave nello sviluppo degli occhiali, compreso il capo progetto Babak Parviz, hanno lasciato l’azienda negli ultimi mesi. Il terzo: il consorzio creato da Google Ventures con alcune superstar del venture capitalism di Silicon Valley, per finanziare lo sviluppo dei Glass, ha silenziosamente fatto un passo indietro e ora chi lo cerca sul web viene dirottato sul sito dei Glass.Insomma, gli ingredienti del flop ci sono tutti. Eppure a Google dicono di essere ancora eccitatissimi per il prodotto; e l’atteso lancio, previsto per il 2014, arriverà comunque solo nel 2015. Molti intanto ragionano sul fatto che forse il vero destinatario dei Glass non sarà il grande pubblico, ma una selezionata clientela business, ovvero di professionisti per i quali avere le mani libere e filmare quello che stanno facendo può avere molto senso (per esempio i chirurghi, come ha intuito la startup italiana “Surgery Academy”, che scommette sul fatto che gli studenti di medicina in questo modo possano vedere esattamente cosa accade in sala operatoria: finora ha ricevuto 35 mila dollari di investimento da Telecom Italia). Altri, avvertono che anche smartphone e tablet all’inizio sembravano delle follie (e ci è voluto il genio di Jobs per rendere “utile” una tecnologia che esisteva e languiva da tempo).Nel frattempo su eBay i Glass di “seconda mano” si trovano già a prezzo stracciati (nonostante la folle clausola imposta da Google che vieta di rivendere quello che uno si è comprato). Ma l’immagine più devastante arriva proprio dal primo testimonial del Glass, Sergey Brin, che in questi anni in pubblico non se li è tolti mai, neanche sulla spiaggia.Fino al 9 novembre scorso, quando, arrivando sul tappeto rosso di un gala dell’innovazione alla ex base Nasa di Ames Center, si è sentito chiedere dai cronisti: «Dove sono i Glass?». Risposta: «Li ho lasciati in macchina».