Il Sole 24 Ore, 14 novembre 2014
La Banca centrale europea, nel suo bollettino di novembre, ci fa sapere che il futuro della zona euro è nerissimo. Riviste al ribasso le stime di crescita, peggiorerà la disoccupazione a lungo termine. Anche le previsioni sull’inflazione calano all’1% per il 2015 e all’1,4% per il 2014
È grigio il futuro di Eurolandia, e lo sarà a lungo. La Banca centrale europea, nel suo bollettino di novembre, non ha potuto fare altro che registrare l’accresciuto pessimismo delle proiezioni economiche realizzate dai «previsori professionali», nello stesso giorno in cui il capo economista per l’Europa della Standard & Poor’s, Jean-Michel Six, lancia il suo allarme: la zona euro potrebbe subire la sua terza recessione in pochi anni.
È un quadro che dovrebbe far riflettere quanti credono che le attuali politiche economiche siano sufficienti. I 61 economisti, accademici e di mercato, interrogati dalla Bce ritengono che la crescita del 2015 si possa fermare all’1,2%, meno dell’1,5% emerso dalla stessa analisi tre mesi fa. L’inflazione, che è la variabile economica governata dalla Bce, dovrebbe risultare pari all’1% medio nel 2015, e all’1,4% nel 2016, meno dell’1,2% e dell’1,5% finora previsto. In un orizzonte di cinque anni – che è più del “medio periodo” di riferimento della Bce – le aspettative sulla dinamica dei prezzi puntano all’1,8%, più vicino all’obiettivo della banca centrale del 2%, ma inferiore rispetto all’1,9% previsto tre mesi fa.
A preoccupare sono però le indicazioni sulla disoccupazione: se sono relativamente migliorate le previsioni a breve termine, le aspettative per il lungo termine – l’anno di riferimento è il 2019 – sono peggiorate sia pure marginalmente. Per quell’anno, le aspettative puntano a un tasso del 9,5%, dal 9,4% precedentemente indicato, un livello ancora piuttosto alto.
Sono tutte indicazioni, queste, che fanno prevedere un’ulteriore correzione, ancora una volta al ribasso, delle previsioni elaborate dallo staff della Bce, disponibili a inizio dicembre.
Non è detto però che queste revisioni portino a una revisione della politica monetaria dell’Eurotower, nel senso dell’atteso quantitative easing. Anche se il bollettino ha confermato che i banchieri centrali sono unanimi «nell’impegno a ricorrere a strumenti non convenzionali», parlando a New York, Benoit Coeuré, componente del board, ha ammesso le preoccupazioni del consiglio direttivo sull’andamento dell’economia, ma non ha davvero aperto le porte a nuove iniziative. «Quel che vediamo sono prospettive deboli per l’inflazione, un indebolimento della spinta alla crescita e una continua lentezza della dinamica del credito, tutte cose che confermano la necessità di un orientamento monetario molto espansivo per un periodo prolungato di tempo», ha detto, confermando la forward guidance della Bce. Gli acquisti di titoli di Stato, però, sembrano lontani. «Non possiamo semplicemente comprare qualunque tipo di asset aspettandoci che ci possano essere ricadute su altri segmenti di mercato, perché le cose non funzionano così, o funzionano così solo in misura limitata». Le perplessità dei banchieri centrali sembrano dunque ancora piuttosto elevate.
È però possibile che la Bce sia costretta comunque ad ampliare la gamma delle misure non convenzionali, e anche molto presto. Questa è almeno l’opinione di Jean-Michel Six, capo economista della Standard & Poor’s (S&P) per l’Europa, intervenuto a un convegno a Milano. L’idea di Six è che le attuali operazioni di liquidità finalizzate ai prestiti alle aziende, le Tltro, siano state adottate solo per convincere gli scettici, «cioè i tedeschi», della necessità di essere molto più aggressivi. Una manovra ispirata, secondo l’economista, all’italiano Draghi dall’italiano Machiavelli. A dicembre, la seconda Tltro dovrebbe rendere chiaro che la politica monetaria deve diventare ancora più intensa e più creativa.
La realtà dell’economia completerà poi il lavoro di persuasione. La S&P, ha spiegato Six, si aspetta una crescita compresa tra lo 0,5% e l’un per cento nei prossimi due anni, con un rischio di recessione – la terza dopo quelle del 2008 e del 2011 – in crescita, anche se non al punto da diventare lo scenario di base dell’agenzia di rating.
È sulla base di queste previsioni che la S&P prevede da tempo un’ampliamento delle misure non convenzionali tra fine 2014 e inizio 2015, con l’obiettivo di aumentare il bilancio della Bce di mille miliardi, cifra che corrisponde con le indicazioni fornite dal presidente Mario Draghi nella conferenza stampa di inizio mese, dopo la flessione di circa un terzo che si è verificata da luglio 2012 in poi.