la Repubblica, 14 novembre 2014
C’è un caso sospetto di Ebola a Firenze. Si tratta di un antropologo rientrato una decina di giorni fa da un Paese africano colpito dall’epidemia. Ora è ricoverato al policlinico di Careggi. Finora in Italia ci sono stati una quindicina di allarmi, tutti rientrati
Una provetta con il sangue di un paziente ricoverato al policlinico di Careggi a Firenze è arrivata alla mezzanotte di ieri allo Spallanzani di Roma. L’uomo è un antropologo e lavora per una ong. Dieci giorni fa è rientrato in una cittadina della provincia di Siena da uno dei Paesi dove è in corso l’epidemia di Ebola. Ieri ha chiamato il medico perché gli è venuta la febbre, così è scattata la procedura di emergenza e un’ambulanza lo ha portato fino all’ospedale fiorentino, dove è stato messo in isolamento e gli sono stati fatti i prelievi. Questa mattina si conosceranno i risultati delle analisi svolte nel centro della capitale, uno dei due in Italia, insieme al Sacco di Milano, accreditati per fare il test dell’Ebola.
Da quando è scoppiata l’epidemia in West Africa, in Italia ci sono stati una quindicina di allarmi, tutti rientrati. Molti di questi non sono stati resi pubblici, quasi sempre si è trattato di casi di malaria, una malattia che ha un esordio simile a quello del virus emorragico. Questa è la prima volta in cui è un italiano a tenere in ansia il sistema sanitario. Del resto il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha più volte sostenuto che con il crescere dell’epidemia e l’aumento di operatori occidentali nei luoghi colpiti diventa sempre più alto il rischio che uno di loro si ammali. L’antropologo toscano ha raccontato di non essere stato a diretto contatto con i malati, cosa che porta ad un certo ottimismo. Ma solo il fatto che sia rientrato da un Paese a rischio dieci giorni fa, cioè da meno di 21 giorni, il tempo di incubazione, e abbia la febbre ha fatto scattare l’allarme, che dalla Regione Toscana è subito arrivato a Roma.
Le procedure del ministero prevedono che chi arriva da Sierra Leone, Guinea o Liberia debba dirlo alle autorità sanitarie. Se è un medico o un operatore che è stato a contatto con malati deve essere messo in quarantena. A casa sua se ha indossato le protezioni che evitano il contagio, in ospedale se sospetta dei contatti diretti con i pazienti. Gli altri, come l’antropologo toscano, devono semplicemente tenere informato il proprio medico o l’azienda sanitaria di qualunque problema di salute. È quanto successo ieri. Intanto la Asl di Siena sta lavorando per individuare le persone che sono state in contatto con il paziente. Una misura precauzionale, prima di tutto perché non si ha ancora la certezza del caso, poi perché comunque i malati sono contagiosi solo una volta che si sono manifestati i sintomi, non prima. Alcune ong inviano antropologi per parlare con le popolazioni locali e convincerle a prendere precauzioni per prevenire la malattia. Ad esempio bisogna spiegare che i funerali sono pericolosissimi, perché dopo la morte per Ebola si resta contagiosi per 24 ore e toccare i cadaveri vuol dire rimanere contagiati.