la Repubblica, 14 novembre 2014
Il Califfo è ancora vivo. Al Baghdadi rispunta con un messaggio audio, sei giorni dopo il raid americano contro una congrega dell’Isis a Mosul e le voci di un suo ferimento grave. Queste le sue parole: «La nostra marcia non si fermerà finché avremo raggiunto Roma. O musulmani tranquillizzatevi, il vostro Stato è in buona salute»
Lo “Sceicco Ibrahim”, com’è detto il leader dello Stato Islamico (Is) incoronatosi “califfo” dei musulmani, rispunta ieri in un messaggio audio. Sei giorni dopo il raid americano contro una congrega dell’Is a Mosul, la fucina di voci che vuole al-Baghdadi abbattuto o ferito non si spegne. Lo sceicco del terrore – o chi per lui – vuole mostrarsi in forma, tanto che azzarda: «La marcia (dell’Is) non si fermerà finché avremo raggiunto Roma. O musulmani tranquillizzatevi, il vostro Stato è in buona salute». Pochi saprebbero confermare se si tratti davvero della voce di al-Baghdadi: esiste un solo video cui raffrontare il timbro, e risale al 7 luglio, il giorno della predica dal pulpito di Mosul.
L’uomo tuttavia non accenna al raid, malgrado la registrazione sia successiva. Infatti, accoglie i pegni d’alleanza del 10 novembre da una pletora di gruppi jihadisti, compreso Ansar Bait al-Maqdis del Sinai egiziano. Piuttosto, nei 16 minuti e 57 secondi del messaggio, dispensa invettive a «ebrei, crociati, apostati, demoni», i nemici dell’Is, «terrorizzati, deboli e impotenti, presto costretti a mandare le loro forze terrestri alla morte e distruzione»: un riferimento alla Coalizione anti-Is.
Nonostante le mirabilia high-tech dei suoi siti di propaganda, come il Hayat Media Center che dirama la registrazione sui social media, il copione da cui legge al-Baghdadi inanella banalità, lontane anni luce dalla retorica sulfurea ma per certi versi fine di Bin Laden: «La coalizione è un fallimento e Israele vi partecipa in segreto», dice negando che i raid costringano i jihadisti ad agire al coperto, a rinunciare alle grandi dighe e alle raffinerie petrolifere, fonte dei più ricchi guadagni. Elenca i Paesi da colpire, tutti arabi, in primo luogo «i regnanti e gli sciiti» del Golfo, l’Arabia Saudita che è «la testa del serpente», Marocco, Tunisia, Libia, Algeria, Sinai e Yemen. Annuncia il conio di monete d’oro, d’argento e di rame, riaffermando – anche secondo Wall Street – l’acume finanziario dell’Is.
Oltre la rozza retorica di al-Baghdadi, che promette «vulcani di jihad pronti a eruttare nel mondo», sono le notizie vere dal campo ad allarmare: Is e Al Qaeda (Fronte al Nusra) avrebbero stretto alleanza in Siria per battere il comune nemico: la Coalizione e l’opposizione siriana «asservita all’Occidente». Questo, e l’effettiva debolezza dell’esercito iracheno, fanno prospettare al generale Dempsey, capo di Stato maggiore Usa, l’impegno di truppe americane di terra nei combattimenti contro l’Is. Una svolta considerevole, dopo la ritrosia di Obama. E la conferma che Washington si preparerebbe a dar corpo «all’offensiva» delineata dalla Casa Bianca contro il “califfato”.