Libero, 14 novembre 2014
D’Alema e i suoi vogliono comprarsi l’Unità per usarla contro Renzi. Intanto i liquidatori del quotidiano fondato da Gramsci hanno con qualche sorpresa cassato tutte e tre le proposte arrivate alla procedura, compresa quella presentata dall’editore Guido Veneziani e affiancata dallo stesso Pd
C’è la possibilità che la guerra interna al Pd si sposti entro poche settimane su un nuovo fronte, quello del salvataggio de l’Unità. Mercoledì sera i liquidatori della Nie, la casa editrice del quotidiano fondato da Antonio Gramsci e non più in edicola dal primo agosto scorso, hanno con qualche sorpresa cassato tutte e tre le proposte arrivate alla procedura, compresa quella presentata da Guido Veneziani (editore di Vero e Stop) e affiancata dallo stesso Pd di Renzi. Quella, come le altre due offerte formalizzate, è stata ritenute «non congrua» dai liquidatori rispetto alle esigenze della procedura concordataria. Potranno essere ripresentate per adeguarsi alle garanzie richieste entro il 30 novembre, ma si sono riaperte le porte ad altri offerenti – attraverso un’asta competitiva – fino al 31 dicembre prossimo.
Il salvataggio dell’Unità dunque è ancora in altissimo mare. Forse anche per questo si sono moltiplicati i rumor sulla possibile formazione di una nuova cordata imprenditoriale che avrebbe alle proprie spalle la minoranza del Pd che fa riferimento ai vari Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani e altri.
Cosa possa essere utile alla minoranza è facile capire: per quanto ammaccato, un quotidiano di partito aumenta la forza politica della minoranza nella sua battaglia contro Renzi. E con un marchio verso cui i militanti sono così affezionati è anche possibile aumentare il bacino dei propri sostenitori. Non è irrilevante peraltro il fatto che l’Unità fino al suo ultimo giorno in edicola abbia potuto godere dei contributi per l’editoria previsti dalla legge del 7 agosto 1990 n. 250 grazie al fatto di essere «il giornale dei Democratici di sinistra» e non del Pd. Con il nuovo partito si sono inutilmente tentati numerosi accordi che, se realizzati, avrebbero consentito al quotidiano di restare in edicola, ma nessuno è stato davvero concretizzato. La benzina per funzionare è sempre arrivata con fondi pubblici solo grazie ai Ds, partito in liquidazione ma non estinto, a cui oggi si riferiscono ancora buona parte dei vecchi leader che non appoggiano la segreteria di Renzi.
Voci e indiscrezioni sono piuttosto fitte, ma è inutile cercare di avere una conferma ufficiale. Il tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, oggi senatore del Pd, interpellato da Libero se la ride sotto i baffi: «Se mai io stessi occupandomi di una cordata per salvare l’Unità, voi di Libero come tutta la stampa lo verreste a sapere solo il giorno dopo che l’operazione avesse avuto successo». Inutile tirare fuori di più.
È certo invece che i due liquidatori, il professore Emanuele D’Innella e Franco Carlo Mariano Papa, abbiano cassato le tre offerte finora presentate, causando anche una certa irritazione nella segreteria Renzi, che si era già appuntata sul petto la medaglia del salvataggio de l’Unità. I renziani sembrano furibondi per quel giudizio – «non congrue» – che ha accomunato le offerte. E hanno fatto trapelare il contenuto di una lettera a Veneziani inviata dagli stessi liquidatori: «Per quanto concerne specificatamente la Vostra offerta, pur ritenendola idonea in astratto a sorreggere il piano concordatario, si rileva la necessità di fornire evidenza in ordine alla capacità finanziaria di provvedere ai pagamenti così come delineati; ciò in quanto l’attestatore possa asseverare con ragionevole certezza la fattibilità di detto piano». In effetti la principale doglianza dei liquidatori era sulla mancanza di garanzie finanziarie allegate alle proposte di affitto o acquisto della testata: è necessaria almeno una fidejussione bancaria.
Nessuna delle tre proposte arrivate, quella di Veneziani, quella dell’ex editore di Latina Oggi Andrea Palombo, e quella degli immobiliaristi Cosimo e Raffaele Tartaglia (di orientamento politico diverso) era sorretta da garanzie bancarie o finanziarie a qualsiasi titolo. La proposta Veneziani, appoggiata dal Pd, prevedeva l’immediato affitto della testata a 90mila euro al mese per 4 anni e poi l’acquisto con un prezzo complessivo di 10 milioni di euro che «verrà corrisposto nella misura del 30% detratti gli importi già versati per l’affitto di testata al momento della stipula del contratto di compravendita e il restante 70% in 48 rate mensili di pari importo a fare data dai primi cinque giorni del tredicesimo mese successivo al rogito».
Presa alla lettera è possibile che l’Unità richiuda di nuovo prima ancora che sia stato pagato dagli acquirenti un solo euro per la testata. Ma se il testo della proposta prevede tempi assai lunghi (poco meno di dieci anni), informalmente si faceva sapere la disponibilità a procedere all’acquisto una volta ottenuta l’omologa del contratto dal tribunale (quindi entro un anno). Nella proposta nessun impegno però è stato preso a proposito del personale della testata (giornalisti e poligrafici) oggi in cassa integrazione a zero ore. Nei piani di Veneziani ci sarebbe stato un organico al massimo di 25 persone, tutti con nuovi contratti in modo da potere usufruire per un triennio della decontribuzione prevista dalla manovra varata dallo stesso Renzi. Non escluso, ma difficile che i 25 potessero essere scelti tutti dalla vecchia redazione ripartendo da zero con i contratti.