La Stampa, 14 novembre 2014
Alluvioni e frane. Quei duecento milioni mai spesi e quei centoquaranta “interventi urgenti” mai avviati. Dal 2009 il ministero dell’Ambiente ha finanziato opere per 2 miliardi e sono partiti lavori per meno della metà: dai 700 mila euro inghiottiti dalle Tremiti senza aver piantato nemmeno un chiodo a quei dieci progetti mai completati in Toscana. E non è tutto...
Talvolta finisce come a Riomaggiore, nelle Cinque Terre, con i quattrini per mettere in sicurezza i torrenti dopo l’alluvione del 2000 finiti nelle tasche di funzionari pubblici e imprenditori. Nelle carte del Comune i lavori sui corsi d’acqua risultavano realizzati; in realtà non erano nemmeno cominciati.
Nella maggioranza dei casi non c’è materia penale, ma «solo» scandalo istituzionale. Undici anni a Chiavari per convocare una riunione di sindaci. Dodici a Napoli per approvare un progetto. Quindici a Porto Empedocle per concludere un esproprio. Il catalogo dei soldi inutilizzati per il dissesto idrogeologico è questo. Dal 2009 il ministero dell’Ambiente ha finanziato opere per 2 miliardi e sono partiti lavori per meno della metà. Tempi tecnici, si difendono le Regioni, e contenziosi come nel caso del torrente Bisagno a Genova. Ma è sui fondi distribuiti nei dieci anni precedenti che ogni alibi cade: ci sono oltre 200 milioni non spesi. Non si tratta di mega opere come quelle di Sarno e del Seveso, ma di 140 interventi minori. Il necessario rammendo di un Paese fragile.
Pareri decennali
Eppure restano sulla carta, come dimostra la mappa Ispra-ministero. Il record nero spetta al Comune di Camaiore, in Toscana: dieci progetti finanziati per 800 mila euro quindici anni fa, nessuno completato. A Napoli ci sono voluti dodici anni per avere il progetto del primo lotto di sistemazione della frana in località Costone San Martino. Intervento definito «urgente» e finanziato con 5 milioni di euro nel 2002. Ora si parte? Macché: è passato troppo tempo e la Regione ci ha ripensato.
Non solo «urgenti» ma addirittura «indifferibili» erano i lavori sui torrenti di Cancello ed Arnone, in Campania. Eppure sono nove anni che li differiscono, tanto che lo stesso Comune non ne sa più nulla. A Chiavari, in Liguria, i primi otto milioni per il fiume Entella, esondato lunedì scorso, arrivarono nel 2002, all’indomani dell’ennesima alluvione. Bisognava far presto per evitare altri disastri. Ma solo nel 2011 è stata convocata la conferenza di servizi (l’organo che riunisce tutti gli enti coinvolti) e nel 2013 è arrivato il parere favorevole. Poi sono cominciati gli espropri. Ora tocca ai progetti, quindi si bandiranno gli appalti...
Com’è possibile? A dispetto delle giaculatorie dei politici contro i Tar, non sono i contenziosi giudiziari la causa principale dei ritardi. Piuttosto pesano l’inadeguatezza tecnica dei Comuni (fare un progetto richiede il doppio del tempo necessario a realizzare l’opera), l’intrico legislativo (1200 norme sedimentate in meno di trent’anni), la lentezza delle procedure (almeno 34 mesi per una valutazione d’impatto ambientale), l’eccesso di enti coinvolti (3600), le diatribe locali (fino a 25 enti nelle conferenze di servizi, una specie di suk), i conflitti tra partiti, i vincoli contabili del patto di stabilità. Tutte questioni politiche.
Troppi enti e confusi
La patologia ha declinazioni fantasiose. All’isola del Giglio ci sono 700 mila euro disponibili da sette anni: la conferenza di servizi ha approvato il progetto, ma la legge impone al Comune una variante al piano regolatore. E quando sarà fatta, la conferenza dei servizi dovrà riconvocarsi. A Porto Azzurro, dieci anni fa erano arrivati 800 mila euro per briglie e casse di espansione. Ma nel passaggio dalla Comunità Montana all’Unione dei Comuni, come nel gioco delle tre carte, le competenze sono state trasferite alla Provincia. Peccato che nel bilancio di quest’ultima non vi sia traccia di quei denari.
Gli otto milioni arrivati nel 2005 in Campania per sistemare l’alveo dei Camaldoli li aveva chiesti il Commissario straordinario per l’emergenza idrogeologica, ma quando l’altisonante organismo è stato sciolto, nessun ente ha pensato di farsi carico della pratica. Mistero sui soldi, mentre le esondazioni continuano (l’ultima in luglio, con rifiuti e melma sulle strade). A Caserta è successo di tutto: prima i ricorsi contro gli espropri, poi l’attesa dei pareri della soprintendenza e dell’autorità di bacino, infine il buco nero del dissesto finanziario del Comune, che ha inghiottito anche i 3,5 milioni stanziati nel 2004 per drenaggi e riforestazione.
A Porto Empedocle, in Sicilia, dopo sei anni si sono accorti che i due milioni per mettere in sicurezza il centro abitato erano stati devoluti «per errore» alla Provincia anziché alla Regione. Adesso, corretta la svista, si attende il progetto esecutivo. A ottanta chilometri di distanza, copione diverso ma stesso genere da teatro dell’assurdo: un milione a disposizione, ma non s’era deciso chi, tra Provincia e Comune di Butera, dovesse spenderlo. Infine si sono chiariti: tocca alla Provincia, che ha indetto la conferenza di servizi a sei anni dallo stanziamento. Altri cinquanta chilometri e c’è Vittoria, dove la ricostruzione della spiaggia di punta Zafaglione, per cui da Roma arrivarono 2 milioni nel 2008, non è ancora cominciata perché da Palermo l’agenzia ambientale della Regione non ha inviato i risultati delle analisi sulla sabbia. Granello per granello, chissà quando finiranno.
L’effetto è tragico: paralisi istituzionale generalizzata e irresponsabilità politica di massa. Salvo chiedere altri soldi, alla prossima alluvione.