la Repubblica, 14 novembre 2014
Chi sono i ludopatici? Dalle slot al gioco su internet, senza fermarsi, come un’ossessione. Avviliscono se stessi e rompono con i familiari. Sono a grave rischio di dipendenza 250mila persone su 16 milioni di italiani che tentano la fortuna
Andrea è uno zombie. Spinge quel tasto con su scritto “start” una volta ogni tre secondi, da un’ora e mezzo. Parla con la slot, in una mano stringe tre ricevute, due sulle corse di cavalli, una piazzata sul calcio. Non sente i rumori, non sa che ore sono, segue le quote anche sullo smartphone. È registrato su tre piattaforme diverse, dove insegue la quota più vantaggiosa. «Che poi mi fa pure schifo questo gioco, è fatto per farti venire il mal di testa...». Un’altra moneta va giù. «È una fregatura, non vinco mai... Pagami, bella, pagami...». Niente, la sua bella non lo paga, deve cambiare altri venti euro. «Su Internet è meglio, la notte gioco a poker, casinò online, tutto... Sì, sono uno zombie».
Fino all’alba i suoi occhi sono piantati sul display dei due computer, poi dorme qualche ora. Il pomeriggio di Andrea invece scorre qui, nella sala scommesse Snai di via Gai a Roma, quartiere Flaminio. Un luogo storico, per chi è cresciuto a pane e cavalli. Trentadue televisioni accese, sfilze di numeri, schedine accartocciate sul pavimento, Herta Berlino-Hannover 96 in diretta su uno schermo, le corse della tris di Napoli e Pisa sugli altri. Negli anni Novanta fuori dal locale, sui bidoni della spazzatura, con 100mila lire ti sfidavano a scopa.
Ma se cercate le fucine del vizio compulsivo, bisogna cercare altrove. I ludopatici, quelli che sul piatto mettono macchine, case, carriere, famiglie, vite, oggi siedono sul divano di casa davanti al pc. Oppure nascondono il tablet dentro la ventiquattrore in ufficio. Usano lo smartphone, come Andrea. «Ho tre account aperti», mostra sul telefonino. «Scommetto sul calcio, il gratta e vinci, e le videolotteries». La sua scimmia te la sbatte in faccia, senza convenevoli. Ha 47 anni e ne dimostra dieci di più. Vestito male, ma con un paio d’occhiali di marca. Una sfilza di lavori alle spalle, mai stabili. Una ex compagna che non lo ama più. «Mi ha lasciato quando mi hanno pignorato la macchina. Si è portata via mia figlia». È Andrea, “lo zombie”. E non riesce a smettere.
C’è un fenomeno che, in psicologia, descrive quello che gli sta succedendo: bus stop entrapment. Rincorre le perdite, persegue una strategia fallimentare. È un errore cognitivo, uno dei tanti, che turba le menti dei compulsivi e impedisce loro di staccare: sono convinti che la fortuna stia per arrivare, dunque non possono lasciare il tavolo o la slot proprio in quel momento. Ma la vincita, proprio come succede con gli autobus, spesso non arriva. L’ultimo studio Ipsad condotto dalla sezione di Epidemiologia del Cnr di Pisa, che Repubblica è in grado di anticipare, sostiene che i “giocatori problematici”, cioè quelli che rischiano di sviluppare disturbi psicosomatici e dipendenze compulsive, sono l’1,6 per cento. Si tratta di 256mila persone sui 16 milioni di italiani che, almeno una volta, hanno affidato alla fortuna un po’ del loro denaro. Sono giovani, i problematici: il 78 per cento ha tra i 15 e i 34 anni, il resto tra i 45 e i 64 anni.
Sono numeri che fanno paura, perché costringono tutti a interrogarsi. «Io non ci casco», ci si dice. Poi però gli esperti che studiano il fenomeno in crescita preoccupante (lo studio Ipsad sostiene che i “problematici” erano lo 0,6 per cento nel 2007 e l’1,3 nel 2010) ti spiegano che il meccanismo che ti risucchia nella voragine dove ora affoga Andrea non è poi così lontano. Può capitare a tutti. La storia di Marco Baldini, che di recente ha lasciato la trasmissione Fuoriprogramma del collega e amico Fiorello perché non si sente più in grado di «garantire un buon livello di professionalità», in fondo racconta questo. Nonostante lui giuri di aver smesso con il gioco d’azzardo nel 2009, oggi si trova a fare i conti con le conseguenze di quella vita là, attorno ai tavoli, negli ippodromi, e chissà dove.
«Chiunque può sviluppare tali comportamenti patologici in relazione al gioco d’azzardo», è la premessa, per niente rassicurante, di Claudio Dalpiaz, psicoterapeuta che dal 2007 si occupa con il progetto Orthos delle dipendenze. Nella testa dell’uomo che si fa “zombie” scatta qualcosa. La scienza ha individuato dei sentieri, almeno tre, che è meglio non percorrere. «Chi è tormentato – spiega Dalpiaz – e sperimenta stati d’ansia, depressione, solitudine, incomunicabilità, può arrivare a usare l’azzardo come maldestro tentativo di autoterapia: si dissocia, si dimentica dei problemi». Andrea percorre quella via, mentre inebetito si destreggia tra i suoi account di gioco online. Se gli chiedi cosa vede, mentre fa scivolare le dita sul touch screen, risponde: «Niente, non voglio pensare a niente».
Che poi le sale sono perfidamente fatte apposta per spingere alla dissociazione. Non è un caso che non ci sia un orologio al muro, che le finestre siano oscurate, che sia l’unico luogo pubblico dove nessuno protesta se fumi, che girino hostess che servono da bere direttamente alle macchinette. «C’è anche chi prova solo per divertirsi una lotteria o un gratta e vinci – continua lo psicoterapeuta – e gli capita “la vincita del principiante”: questo lo espone a un momento “eccitante”, il suo cervello ne chiederà ancora». Eccolo, il secondo meccanismo. Il terzo: «Diventano ludopatici i sensation seekers, quelle persone che, per loro natura, hanno bisogno di stimolazioni continue. Ieri erano solo alcol e droghe, ora hanno a disposizione un ventaglio di forme d’azzardo mai visto in precedenza». Di che pasta sia fatto questo ventaglio, lo dicono i numeri: 3.472 Gratta e Vinci acquistati in Italia ogni secondo, 32.243 euro al minuto giocati alle slot, 70 milioni di euro al giorno puntati sul Bingo, 2,2 miliardi l’anno affidati all’estrazione del Lotto, 4 miliardi alle scommesse sportive, 10.229 punti sparsi sul territorio per i concorsi pronostico, 5657 spazi dedicati alla raccolta delle puntate sull’ippica, 7.059 attività dove piazzare almeno una scommessa sportiva, 33.624 ricevitorie del Lotto, 65.321 punti dove acquistare un tagliando della lotteria. Il principio è lo stesso che guidò Benny Binion alla creazione del Horsehoe di Las Vegas nei primi anni Cinquanta: «Costringi i turisti ad attraversare corridoi dove si punta ai giochi, prima o poi lasceranno un dollaro sul tavolo». Corollario: riempi il web di casinò e poker online, e prima o poi qualcuno aprirà un conto.
«Sulla Rete si vive una dimensione di assoluta privacy – dice Dalpiaz – non ci sono occhi critici che giudicano, pure i soldi sembrano virtuali. Con le carte di credito non si riesce a capire quanto si stia spendendo, ogni clic se ne vanno 5-10 euro». La nuova frontiera per far sentire meno soli gli utenti sono i web croupier che, grazie alle microtelecamere, interagiscono direttamente col giocatore. A Riga, sul Baltico l’azienda internazionale che ha inventato il Live Casinò Online con sale in diretta streaming 24 ore su 24 (oltre 400 addetti alle puntate di tutte le nazionalità), usa la bellezza delle croupier in abito nero e scollatura per tenere incollati allo schermo i giocatori. Poi una mattina ti sveglia la telefonata del direttore della tua banca imbestialito. Tutto facilissimo e accessibile, la sala di via Gai è archeologia al confronto delle app disponibili oggi sui telefonini. Alcune sono studiate apposta per i bambini, giocano alla roulette o alla slot senza vincite in denaro. Preparandosi, domani, a diventare i consumatori dell’azzardo.