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 2014  novembre 14 Venerdì calendario

De Benedetti si racconta per i suoi 80 anni. Dal campo di concentramento in Svizzera ai giri in barca con la seconda moglie, passando per l’Olivetti e l’ispezione anale per quella notte in carcere. E poi Renzi, Napolitano, Marchionne eccettera

«Compio ottant’anni, sono un uomo fortunato e sono vissuto in un’epoca straordinaria: dalla fabbrica – nel 1958 mio padre fermò il lavoro alla Gilardini per festeggiare Tunìn, il primo operaio arrivato con l’auto anziché in bici – all’economia digitale. Mi sono ammazzato di lavoro, poi a sessant’anni mi è successa una cosa che non credevo possibile: mi sono innamorato, e mi sono risposato. Grazie a mia moglie Silvia ho scoperto un’altra vita. Abbiamo girato il mondo in barca, ho coltivato interessi in campi che già prediligevo: arte, collezioni, musei...». 
Ingegner De Benedetti, è sicuro di non avere nulla da rimproverarsi? Sull’Olivetti, ad esempio. 
«Assolutamente no. Nessuna azienda europea dell’informatica è sopravvissuta. Olivetti fu l’unica a entrare nella telefonia mobile, realizzando la più grande creazione di valore in Italia in cinque anni. Certo, io avevo una bulimia di lavoro, e anche di conquista. Tentai di scalare la Sgb, comprai la Buitoni, la Perugina, le figurine Panini, Yves Saint Laurent, Valeo… Così distolsi non quattrini ma mie personali energie dall’Olivetti. Però la diversificazione nella telefonia fu un successo: Omnitel fu venduta a Mannesmann per 14.500 miliardi di lire». 
Non si rimprovera neppure di aver pagato tangenti? 
«Sono stato l’unico ad andare da Di Pietro a dire: “Mi assumo tutte le responsabilità, per quel che so e per quel che non so, ma voglio che nessun dirigente dell’Olivetti sia coinvolto”. Altri prestigiosi miei colleghi non si regolarono allo stesso modo». 
Come fu la giornata passata a Regina Coeli? 
«Del carcere ricordo la consegna dei documenti. L’ispezione anale. Ma le esperienze dure fanno bene. A 10 anni ero in un campo di concentramento svizzero. Nulla di paragonabile a Mauthausen, dove morirono i miei cugini. Però la doccia fredda all’alba d’inverno, senza asciugamani, con soltanto la paglia dove dormivi per asciugarti, l’ho provata. Una lezione di vita utilissima». 
Cos’altro ricorda della guerra? 
«Mio padre faceva tenere a mio fratello Franco e a me un album di ritagli con le notizie della persecuzione degli ebrei e le foto dei campi di concentramento. Chiedemmo perché dovessimo farlo. Lui rispose: “Perché un giorno qualcuno dirà che tutto questo non è successo”». 
Come tessera numero 1 del Pd, riconosce... 
«Questa è una favola: non ho mai avuto tessere». 
...Riconosce di aver cambiato giudizio su Renzi? Nel 2011 lei disse al Corriere: “Di Berlusconi ne abbiamo già avuto uno, e ci è bastato”. 
«Sì: per quanto i due personaggi abbiano qualche punto di contatto, mi sono ricreduto. Renzi è un fuoriclasse. Per quattro motivi. Innanzitutto, è molto intelligente». 
Berlusconi non è intelligente? 
«Berlusconi è furbo». 
E gli altri motivi? 
«L’energia: non ne ho mai vista tanta in un politico. Forse si può fare un paragone con il Fanfani degli Anni ’50. L’empatia. Dicono che Renzi ricordi Craxi, per decisionismo e abilità politica; Craxi però era antipatico. E poi Renzi è una spugna. Di economia non sa molto; ma in un attimo assorbe tutto. È veloce e spregiudicato». 
Eppure non ha portato il Paese fuori dalla recessione. 
«Questa manovra non è risolutiva. Il vincolo del 3% è incompatibile con riforme vere. E le riforme senza soldi non si fanno. Il premier dovrebbe fare come Schröder, quando ottenne di sforare i parametri per tre anni. Oggi Renzi non se la sente; ma sono certo che, quando avrà avviato le riforme, lo farà. Fino ad allora, l’Italia non uscirà da recessione e deflazione». 
È così pessimista sulla nostra economia? 
«Sono pessimista sulla tenuta europea. E condivido quanto sostiene Larry Summers: ci attende una stagnazione secolare. La distruzione del ceto medio creerà una società con pochi ricchi, molti poveri e molti eroi che cercheranno di costruire una famiglia con 1500 euro al mese». 
Facciamo 1580. 
«Gli 80 euro sono stati un brillante spot elettorale. Ma è difficile pensare che rimettano in moto l’economia. Detto questo, Renzi è l’unico che possa riportare l’Italia al suo standard». 
Non salva neanche Prodi? 
«Buone intenzioni. Ma non si governa mettendo insieme Ciampi e Bertinotti, Padoa-Schioppa e Ferrero». 
D’Alema? 
«Non ha lasciato segno». 
Renzi però governa con Berlusconi. 
«Non è detto che lo farà ancora a lungo». 
Cosa pensa del patto del Nazareno? 
«Il premier ha fatto benissimo a stringerlo. E Berlusconi per sopravvivere non poteva fare altro. È innamorato di Renzi e disgustato dal suo partito». 
Cosa farà Berlusconi? 
«Penso che venderà tutto a uno straniero, e per farlo non può avere il governo contro. In Italia non c’è nessuno disposto a comprare le sue aziende. La tv generalista è messa molto peggio dei giornali». 
Quindi su Renzi, tra Scalfari e Mauro, ha ragione Mauro? 
«Scalfari è un mio grandissimo amico oltre che geniale imprenditore e innovatore nel campo del giornalismo. Ma – lo dico scherzando – lui vorrebbe vedere Reichlin primo ministro. Ogni domenica mattina mi confronto con tre novantenni. Piero Ottone. Gianluigi Gabetti: un uomo che ha meriti colossali. E Scalfari, cui mi lega un’affinità: entrambi siamo dentro e fuori il sistema; lo critichiamo, ma ne facciamo parte». 
Chi sarà il prossimo direttore di Repubblica ? 
«Finché Ezio ne ha voglia, il direttore sarà Ezio. Si è preso Repubblica non solo “a collo”, come diciamo noi piemontesi, ma addosso. Oggi Repubblica è lui». 
L’editoria però è in crisi. Come uscirne? 
«Dobbiamo far crescere i nostri brand. Repubblica ha un milione e mezzo di follower su Twitter, molti di più su Facebook». 
Come monetizzare tutto questo? 
«Siete la concorrenza, non lo dico. Ma se i giovani pensano che il nostro brand sia importante, significa che sentono l’esigenza di una gerarchia tra le troppe notizie da cui sono bombardati. Noi forniremo questa gerarchia. Non si tratta più di raccontare quel che è accaduto, ma perché è accaduto». 
Anche sulla Fiat deve ricredersi: lei ne prevedeva il fallimento. 
«Marchionne si è rivelato un genio della finanza. Ha avuto un successo straordinario. Ma non è un uomo di automobili. In materia finanziaria vorrei essere bravo come Marchionne. So che qualcuno mi ritiene un finanziere...». 
Sta dicendo che lei non è un finanziere? 
«Io sono sempre stato un imprenditore che ha capito la leva della finanza. E nei 100 giorni in cui rimasi in Fiat, con Giorgetto Giugiaro inventammo la Panda». 
Cos’ha rappresentato per lei l’Avvocato? 
«È stato l’unico uomo che mi ha affascinato. Ho stimato La Malfa, Berlinguer, Ciampi e Visentini: sono state tutte persone importanti per me. L’Avvocato mi affascinò: gli invidiavo l’impalpabile. Mi sedusse pur con i suoi limiti, che riconosceva lui per primo; perché era cinico anche con se stesso». 
È vero che Steve Jobs da giovane le propose di investire in Apple, e lei rifiutò? 
«Ero a Cupertino con Elserino Piol. Erano le 7 di sera. Ero esausto per le riunioni e per il fuso. Piol mi dice di passare in un garage dove ci sono due capelloni con i jeans stracciati che lavorano a un mini-computer: erano Wozniak e Jobs. Steve mi propose di rilevare il 20% della sua società per 30 milioni di dollari. Me ne andai. Oggi quella quota varrebbe 100 miliardi. Ma quella partita non la persi solo io, l’ha persa l’industria europea che sulle nuove tecnologie ha rinunciato a un pezzo di futuro». 
Non ha nulla da rimproverarsi nemmeno su Sorgenia? 
«Non sono mai stato neppure in consiglio. Da presidente Cir approvai l’investimento. La facilità di accesso al credito, tipica di quegli anni, ha indotto la società a indebitarsi troppo; il resto l’ha fatto il crollo dei prezzi e del consumo di energia. Penso che la società, una volta portato l’indebitamento a livelli più sostenibili, abbia buone prospettive». 
E sull’indagine per omicidio colposo per l’amianto all’Olivetti? 
«Ribadisco la mia estraneità. Non tutti hanno idea di cosa significhi governare un gruppo di 70 mila dipendenti. Secondo l’indagine l’amianto era anche negli uffici dove ho lavorato per 18 anni. Se lo avessi saputo e ne avessi conosciuto la pericolosità, non crede che l’avrei fatto togliere?». 
Quando si vota, secondo lei? 
«Nella primavera 2015. Dopo che il 31 dicembre Napolitano si sarà dimesso». 
Chi sarà il presidente della Repubblica? 
«Posso dirle quali connotati dovrà avere, coniugando realismo e aspirazione. Renzi non lascerà che sia eletto qualcuno che distragga l’attenzione da lui. Ma il presidente dovrà essere un politico dal grande profilo istituzionale, che conosca a fondo il funzionamento delle Camere». 
Renzi dura? 
«Dipende dall’economia. Se avrà il coraggio di sfondare gli assurdi parametri di Maastricht e capirà che i corpi intermedi costituiscono parte della struttura di una società democratica, ce la farà». 
E l’Europa durerà? 
«Bob Dylan 50 anni fa cantava “è tempo di cambiare il mondo”; forse aveva capito molto più di tanti economisti. Davanti a noi abbiamo due problemi: la deflazione e la recessione; non stiamo combattendo né l’una né l’altra. L’Europa è dominata da spinte nazionaliste, e in Germania c’è la Merkel, non Kohl. Se alle prossime elezioni greche vince Tsipras, per l’euro saranno giorni durissimi, e a quel punto si dovrà cambiare per forza. Ma non so se nella direzione giusta».