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 2014  novembre 13 Giovedì calendario

Giuseppe Colombo, l’italiano che accesa la luce a Milano giocando la carta dell’ecologia. Illuminò la Scala, fondò l’impero Edison e dalle acque dell’Adda ricavò l’elettricità: preludio all’attuale cuore verde dell’azienda

Non si resta sul mercato centotrenta anni senza una forte tensione innovatrice, senza la curiosità per cercare un domani diverso e migliore. La storia dell’Edison, che oggi si intreccia con tre start up in cerca di mercato ma soprattutto di futuro, iniziò nell’Italia da poco unita per volontà di uno straordinario milanese, Giuseppe Colombo, che fu ministro delle Finanze e presidente della Camera, ma che prima di tutto seppe incarnare, come pochi, lo spirito modernista e innovatore che caratterizzò la fine dell’Ottocento in Europa.
Colombo fu uomo di ampi orizzonti. Contribuì, con Francesco Brioschi, alla nascita del Politecnico di Milano, fu insegnante di Giovan Battista Pirelli – che dopo la laurea spinse in Belgio a studiare la produzione industriale della gomma – scisse Il Manuale dell’ingegnere, che Hoepli edita ancora oggi e divenne cliente e conoscente di Thomas Alva Edison, uno dei più grandi inventori di ogni tempo.
Fu Colombo ad accendere Milano, prima città in Italia, tra le primissime al mondo, a godere di una illuminazione delle pubbliche vie. E lo fece proprio grazie a Thomas Alva Edison. Colombo iniziò con l’illuminazione elettrica del Teatro alla Scala, il 26 dicembre 1883 e lo fece per risolvere un problema tanto grave quanto banale. I teatri dell’epoca – era un mondo senza radio né televisioni, dove il teatro era «il» luogo di svago – erano illuminati con torce e candele e spesso bruciavano, causando immani tragedie.
Colombo vide il futuro all’Esposizione internazionale di Parigi: aveva il profilo ingombrante della straordinaria dinamo Jumbo, una macchina enorme, creata da Edison negli Stati Uniti. Colombo a Milano trovò i soldi, la comprò e la fece installare nella centrale di via Santa Radegonda, dove oggi sono i magazzini della Rinascente. Bruciava carbone, la Jumbo, per produrre elettricità. Poi, Colombo partì per gli Stati Uniti, fece base a New York, andò a conoscere Thomas Alva fino a Menlo Park, nel New Jersey, nell’allora Raritan, a metà strada con Filadelfia, ed entrò in confidenza con lo straordinario inventore americano. I due divennero soci, quasi amici.
Esiste un documento con il quale Thomas Alva concede alla società italiana che Colombo stava costituendo, l’uso del nome Edison. Un unicum nel panorama mondiale di oggi, che si realizza proprio in forza di quella volontà. Ne parleranno, il prossimo sabato, 15 novembre, alle 10, Michele Puglisi, Piero Cavaleri e Luca Mari all’Università Liuc di Castellanza.
La centrale a carbone di Milano fu, per quegli anni, quasi una meraviglia. Eppure lo spirito innovatore dell’epoca la rese obsoleta in un decennio. Colombo ebbe la forza di rivoluzionare la sua impresa, non ci pensò due volte: basta carbone e basta con quella ciminiera alta quasi quanto il Duomo che finiva con l’annerirlo. Era già arrivata l’epoca dell’energia «verde», della forza rinnovabile. Colombo la trovò sull’Adda, il fiume che scorre a est di Milano.
La Edison già nel 1898 iniziò a produrre energia elettrica trasformando la corrente del fiume grazie alla prima delle tre centrali costruite sulla riva del corso d’acqua (dedicate ad Angelo Bertini, Carlo Esterle e Guido Semenza, tre uomini che hanno continuato l’opera di Colombo) e che sono ancora oggi perfettamente funzionanti. Dall’acqua dell’Adda, non più dal carbone, arrivava l’energia necessaria a illuminare Milano, non più solo le strade, ma anche i negozi privati, le case e successivamente per muovere i tram, fino ad allora trainati dai cavalli.
La spinta al cambiamento è nel dna stesso di tutte le maggiori società industriali. La rapidità con cui mutano gli scenari competitivi, oggi, è cento volte superiore rispetto a un secolo fa. Edison è passata dal carbone all’acqua, dal petrolio al gas, al sole, ma la corsa non è ancora finita.