Corriere della Sera, 13 novembre 2014
Juncker non si dimette per lo scandalo LuxLeaks: «Non dipingetemi come un amico del grande capitale. Se anche dovesse essere accertato che aiuti di Stato sono stati deliberati da qualche istituzione lussemburghese non vedo perché dovrei lasciare». Fischi dai deputati e critiche durissime dalla stampa europea
Nega responsabilità e conflitti d’interessi. Il presidente della Commissione europea, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, ha interrotto una settimana di imbarazzato silenzio per respingere nell’Europarlamento e con i giornalisti il suo coinvolgimento nello scandalo LuxLeaks, che ha rivelato i favoritismi fiscali concessi a centinaia di società straniere quando era premier del Lussemburgo.
Juncker si ritiene ancora adeguato e credibile davanti ai 500 milioni di cittadini dell’Ue. Ha promesso di impegnarsi per l’armonizzazione fiscale e per lo scambio automatico di informazioni tra Stati sui tax ruling, le richieste preventive delle società su come verranno tassate dal Lussemburgo e da altri paradisi fiscali disponibili a concedere forti riduzioni in modo riservato. La Germania preme per accelerare.
«Non dipingetemi come il miglior amico del grande capitale», ha replicato Juncker, dopo essere stato accolto con fischi e critiche da vari settori dell’Europarlamento di Bruxelles. Ha negato di essere «l’architetto» del regime da paradiso fiscale del suo Granducato, sviluppato nei circa 20 anni da premier e ministro delle Finanze, quando è stato anche il principale frenatore delle iniziative Ue contro i grandi evasori fiscali. Si considera in regola con le leggi comunitarie, nonostante la precedente Commissione europea abbia avviato una procedura su presunti favoritismi fiscali in Lussemburgo (a Fiat Finance e Amazon) in contrasto con la normativa sugli aiuti di Stato. «Se anche dovesse essere accertato che aiuti di Stato sono stati deliberati da qualche istituzione lussemburghese – ha precisato – non vedo perché mi dovrei dimettere».
Juncker è stato difeso da Manfred Weber, il leader tedesco del suo europartito Ppe. «È vergognoso che i governi firmino con le imprese accordi segreti che le aiutano a non pagare le tasse», ha invece attaccato il capogruppo degli eurosocialisti Gianni Pittella, che non intende però far saltare la maggioranza con il Ppe e un presidente della Commissione appena insediato. Il leader degli euroliberali, il belga Guy Verhofstadt, ha chiesto di concludere entro dicembre i procedimenti su Fiat e Amazon perché, se quegli accordi risultassero illegali, sarebbe «un problema» per Juncker. Gli euroscettici (Ukip e M5s) hanno chiesto «sospensione o dimissioni».
Juncker è atteso al G20 a Brisbane in Australia, dove è in agenda la lotta alla grande evasione fiscale. Ma poi a Bruxelles dovrà considerare le irritazioni popolari soprattutto nei Paesi dove, quando era presidente dei ministri finanziari dell’Eurogruppo, ha sollecitato misure di austerità (con aumenti delle tasse), mentre da premier guidava un paradiso fiscale con rigido segreto bancario a vantaggio di multinazionali, società e ricchi investitori. Inoltre piccole imprese e negozi, sottoposti a pesanti imposizioni fiscali, hanno scoperto con LuxLeaks di essere stati penalizzati nelle concorrenza con multinazionali e grandi catene, che pagano tasse minime grazie ai favoritismi dei vari Lussemburgo, Olanda, Irlanda o Regno Unito.