Corriere della Sera, 13 novembre 2014
Tutti quelli che hanno cambiato idea (più di una volta) sulle preferenze, da Schifani a Quagliariello. Ieri sembrava una trappola clientelare, oggi un baluardo di democrazia. E anche Renzi non ha una posizione limpidissima: meglio averle che non averle, diceva tre mesi fa
«Meglio Cuffaro delle liste bloccate», titolò mesi fa linkiesta.it. Secco. Senza il tarlo d’un dubbio. «Le preferenze furono il simbolo del voto di scambio nel Meridione d’Italia, ma le liste bloccate sono una sporcizia democratica, il trionfo delle oligarchie», scriveva il catanese Salvatore Merlo. Insomma: «L’orribile clientelismo è pur sempre democratico».
Ma è così? Mario Segni, a sentire certi discorsi, mastica amaro. Lui, che promosse il referendum e spazzò via il vecchio sistema marcio fino al midollo, ricorda bene i disastri fatti dal proporzionale con le preferenze. Un sistema che consentiva grazie alle combinazioni di controllare il voto clientelare. E non ha cambiato idea.
Anche Gaetano Quagliariello, un tempo, pareva avere la memoria salda: «La nuova stagione della politica è nata contro la raccolta delle preferenze e il clientelismo che comportava». Ce l’aveva con le «infiltrazioni dei “Mister Centomila Preferenze”», giurava sulla bontà delle liste bloccate che obbligavano i partiti a scegliere i migliori, denunciava che il vecchio sistema era «monopolio di chi spendeva di più o si faceva sostenere da portatori di interessi illeciti». E chiudeva: «È una storia che conosciamo nel Mezzogiorno: non si deve ripetere». Mesi fa, dietrofront: «Il Nuovo centrodestra è compatto e sulle preferenze andrà fino in fondo: l’elettorato deve scegliere i propri candidati, non vogliamo più un Parlamento di nominati».
Anche Gianfranco Rotondi era durissimo. Proprio perché, spiegava, era un recordman di voti personali: «Forte di questo primato mi sento ancor più di affermare la mia contrarietà alle preferenze. Esse appartenevano a un’altra stagione al termine della quale l’elettorato ne sanzionò il potere inquinante. Oggi sarebbe solo la festa delle camorre e dei poteri economici organizzati». Eppure anche lui ha consigliato a Berlusconi di «non impiccarsi al maggioritario: la legge riscritta dalla Corte con proporzionale puro e preferenze rende Forza Italia centrale e insostituibile per venti anni». E non parliamo di Renato Schifani. Diceva che «le preferenze odorano di naftalina» e ora minaccia referendum: «Vogliamo preferenze vere».
E quanti sono i grillini che nel ’91 votarono l’abolizione delle preferenze ed oggi hanno rimosso i guasti di quel sistema? Hanno dimenticato certi racconti come quello di Clemente Mastella? «Era il 1976 e invitammo i cittadini di Benevento a votare l’anno, perché Ciriaco De Mita era il numero uno della lista, io ero il nono, Gerardo Bianco il settimo e Giuseppe Gargani il sesto». C’è chi dirà: che male c’era? Qua e là, forse, meno. Ma lasciamo rispondere a un appello che i leader comunisti delle regioni meridionali lanciarono nel ’90 invocando la soppressione delle preferenze perché con quelle i politici erano «ostaggi nelle mani della mafia e dei clan» e occorreva «impedire alla mafia di gestire direttamente il consenso nei territori in cui operano le cosche». Tutto dimenticato, tutto rimosso, tutto cancellato. E dalla minoranza di quella che fu la Balena Rossa è tutto un coro che, per buttar bastoni nelle ruote di Renzi, invoca: «Preferenze! Preferenze! Preferenze!».
Si scannavano dentro gli stessi partiti, sui voti di preferenza. Ogni elezione era occasione per covare odio, studiare sgambetti, sversare veleni. Ed erano i partiti di una volta! Blocchi monolitici che reggevano ogni crepa. Oggi? «In una situazione storica di debolezza dei partiti», ha scritto Roberto D’Alimonte, docente alla Luiss ed esperto di sistemi elettorali, «il voto di preferenza rischia di distruggere definitivamente quello che resta della loro organizzazione e di aprire le porte ad ogni sorta di influenza anche di tipo criminale soprattutto in alcune zone del Paese». Tanto più che la sproporzione tra l’uso delle preferenze al Nord e al Sud, con punte del 14% in Lombardia e del 90% in Calabria, è diventata immensa. Per capirci: si rischiano guerre fratricide.
Il guaio è che lo stesso Renzi, che pure ha avuto D’Alimonte tra i suoi consiglieri, non sembra avere una posizione limpidissima. Certo, lui stesso ha usato il tema per manganellare Cuperlo: «Gianni te lo dico con amicizia, questo tuo riferimento alle primarie e alle preferenze, lo avrei voluto sentire la volta scorsa, quando tu e altri siete stati candidati nel listino. È inaccettabile che preferenze e primarie siano usate in modo strumentale adesso».
Parole d’oro, ma lui come la pensa? «Lo confesso: sono un sostenitore delle preferenze. Purtroppo sul punto si è registrata una netta ostilità di Forza Italia», spiegava a gennaio motivando l’accordo con Berlusconi sulle liste bloccate. Tre mesi fa, ritoccava: «Noi non pensiamo che le preferenze siano lo strumento della democrazia ma tra averle e non averle preferiamo averle». E oggi? Il nostro futuro, dopo gli orrori del Porcellum, è un tuffo nel passato dei padroni e padroncini di pacchetti elettorali? #chediocelamandibuona…