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 2014  novembre 13 Giovedì calendario

L’atterraggio della sonda Rosetta sulla cometa dopo 10 anni in viaggio e 7 ore di discesa. Alla scoperta dei segreti della nascita del sistema solare. Razzo rotto, impatto alla velocità di un metro al secondo

Gli occhi elettronici della piccola sonda Philae guardano per la prima volta il panorama desolato e aspro di una cometa. Mai un veicolo costruito dall’uomo era sceso sul nucleo di un astro con la coda e un tweet è stato il primo ad annunciarlo. «Abbiamo compiuto qualcosa di straordinario – dice Jean-Jacques Dordain, direttore generale dell’Esa, l’agenzia spaziale europea —. La nostra ambiziosa missione Rosetta si è assicurata un posto nei libri di storia». Ora Philae, delle dimensioni di una minuscola lavatrice, è saldamente ancorata grazie a due arpioni penetrati nel suolo ghiacciato di «67P/Churyumov-Gerasimenko».
Quando al centro di controllo Esoc dell’Esa di Darmstadt (Germania) è giunto alle 17.05 il segnale di conferma proveniente dalla sonda distante 510 milioni di chilometri dalla Terra un sospiro di sollievo e soddisfazione ha cancellato l’ansia delle ultime ore, quando si è temuto il peggio. «Incredibile – nota esultante Paolo Ferri, direttore delle missioni interplanetarie all’Esoc —. Abbiamo vissuto un momento straordinario. Il razzo che doveva assicurare Philae al suolo non ha funzionato ma ci si è resi conto che non era necessario. La gravità dell’astro è stata sufficiente a trattenerlo e le tre gambe molleggiate hanno assorbito l’impatto avvenuto alla velocità di un metro al secondo».
Conquistare la cometa è stata una sfida lanciata vent’anni fa. Da allora inventarsi ciò che serviva è apparso giorno dopo giorno un gioco d’azzardo. Non si sapeva nulla dell’ambiente su cui ci si sarebbe posati, solo valutazioni indirette. Finalmente nel 2004 la sonda Rosetta, costata 1,3 miliardi di euro, è partita e dopo dieci anni di viaggio per lo più in uno stato di ibernazione, si è trovata davanti il volto scavato e difficile di Churyumov-Gerasimenko, largo al massimo quattro chilometri, con colline di trenta metri, dirupi scoscesi ma pure qualche vellutata distesa. La cometa sembrava la fusione di due corpi e ardua è apparsa subito la scelta del luogo dove sbarcare. Finché non si è scelto un suolo pianeggiante lungo 900 metri e largo 600, incastonato tra aspri rilievi. Il luogo è stato battezzato Agilkia e da lì, ora, Philae cerca di sciogliere almeno alcuni dei misteri sull’origine del nostro sistema solare di cui è una delle tracce originali.
«Abbiamo centrato il punto stabilito per l’atterraggio con uno scarto di cento metri – nota Paolo Ferri – dopo una discesa perfetta di sette ore tutta governata dai computer».
Philae con i suoi strumenti indagherà la natura del suolo e soprattutto lo perforerà con una trivella scavando sino a una profondità di 23 centimetri. L’eccezionale strumento, concepito al Politecnico di Milano da Amalia Finzi, analizzerà anche le particelle ghiacciate che raccoglierà trasmettendo le loro caratteristiche.
Le batterie consentiranno 64 ore di indagini trasmettendo fotografie ma in realtà il tempo di lavoro dipenderà dall’attività dell’astro in aumento: mentre si avvicina al Sole erutta polveri e gas. Se questi non danneggeranno i pannelli solari, Philae potrà continuare l’esplorazione anche per qualche mese. Non oltre, però, il marzo prossimo perché allora il nucleo di Churyumov-Gerasimenko diventerà un inferno impossibile. La sonda madre Rosetta, invece, che l’ha portata a destinazione, continuerà a ruotare intorno alla cometa, avvicinandosi fino quasi a sfiorarla, per riuscire a cogliere il ritmo nascosto dell’affascinante corpo celeste.