la Repubblica, 13 novembre 2014
L’Estonia è la prima vera “digital nation” al mondo. Qui Internet è un diritto, il 100% delle scuole e degli uffici pubblici ha un computer, l’80% delle famiglie è connesso e gli affari si fanno solo online Una rivoluzione nata anche da uno shock: la prima cyberwar globale. A scatenarla l’ingombrante vicino russo nel 2007. «Ma oggi siamo sicurissimi»
Non è vero che Internet non ha confini e che, come lo spirito santo, è in ogni luogo, basta che ci sia la rete. Il paese di Internet esiste. Sta in Europa, fra la Finlandia e la Russia, in uno Stato che ci sembra piccolo solo perché è quasi disabitato, appena un milione e trecentomila abitanti, come Milano; ma in realtà l’Estonia, di questo stiamo parlando, è più grande della Danimarca e dell’Olanda, solo che qui, a parte qualche città, ci sono chilometri e chilometri di distese di foreste e ghiaccio. È lo scenario di Frozen, il film della Disney che infatti ne ha mutuato i colori della bandiera nazionale: bianco nero e azzurro.
Ma la vera bandiera che sventola nelle mappe che ti consegnano nell’aeroporto di Tallinn (dove il wifi è libero, gratuito e velocissimo) o negli hotel del fiabesco centro storico protetto dall’Unesco, è quella di Skype, il servizio di telefonia via Internet inventato da uno svedese e da un finlandese, ma sviluppato qui nel 2003. «Siamo il paese di Skype», è il messaggio che spacciano con una leggera forzatura storica (anche se la prima frase pronunciata su Skype fu in effetti in estone, “Tere, kas sa kuuled mind? Ciao, mi senti?”).
Ma la verità è che l’Estonia oggi è molto di più: è il modello di quello che potremmo diventare, la prima vera Digital Nation del mondo. Un posto dove Internet è un diritto, ma in un certo senso anche un dovere; dove quasi tutto avviene online ma i tuoi dati personali sono considerati sacri e puoi sapere immediatamente chi li ha consultati e perché; e una società dove il governo può prendere informazioni basandosi su quello che i cittadini stanno facendo in tempo reale. Il governo dei big data. l’Illuminismo digitale realizzato. Funziona? Partiamo dai numeri di base. Il 100 per cento delle scuole e degli uffici pubblici oggi hanno un computer, l’80 per cento delle famiglie hanno accesso alla rete tramite un pc e il 97 per cento degli affari si fanno online. «Mi chiedo come faccia il rimanente 3 per cento...», dice ironicamente Siret Shutting, la funzionaria del governo che sta presentando le meraviglie di e-Estonia a un gruppo di africani venuti ad imparare. Ogni giorno, dice, c’è almeno una delegazione proveniente da qualche parte del mondo che sbarca a Tallinn per capire come si fa a vivere in una società totalmente digitale. C’è un segreto? Una bacchetta magica? Oppure servono tantissimi soldi? La risposta è spiazzante: «Abbiamo scommesso tutto su Internet perché siamo pochi e perché siamo poveri», sostiene Taavi Kotka, il chief information officer del governo. È un giovane ingegnere con un passato da startupper e una visione molto radicale di come si fanno le cose: «Se una piattaforma informatica non funziona bene, meglio buttarla giù e rifare tutto daccapo piuttosto che metterci una toppa». La svolta digitale di dodici anni fa la spiega così: «Per noi è stata una questione di vita o di morte, di sicurezza nazionale. Non avevamo nessun altro modo per portare i servizi pubblici in posti remoti con pochissime persone. Dovevamo trovare un modo per sostituire i dipendenti pubblici con le macchine. Oppure sparire. Sa, noi abbiamo un vicino piuttosto ingombrante...».
La Russia, non c’è bisogno di nominarla. In un paese dove il 40 per cento degli abitanti sono di origine russa, dove l’occupazione sovietica è durata 50 anni, fino al 1991; e dove l’ultimo “morso” del vicino è stato così recente che tutti lo ricordano bene. Era il 2007, il governo aveva deciso di spostare la statua ai caduti sovietici – chiamati “i liberatori di Tallinn” – vicino ad un cimitero, «dove meritava di stare», erano scoppiati violenti disordini per le strade e l’Estonia divenne il primo paese del mondo a subire una cyberwar, un attacco informatico in piena regola.
«Ci è servito, oggi siamo sicurissimi, non c’è nulla da hackerare e se un server viene attaccato, lo isoliamo dal sistema e non accade nulla», giura Jaan Priisalu, capo dell’Autorità delle comunicazioni. Il sistema si chiama X-Road ed è il cuore della Digital Nation. È l’infrastruttura alla quale sono attaccati tutti i database, 900 organizzazioni che offrono migliaia di servizi ed erogano centinaia di milioni di transazioni all’anno. È costato molto? Pochissimo: lo hanno sviluppato tutto internamente, «non è vero che l’informatica costa tanto, anzi i soldi creano mostri». Come funziona? Ci si collega con una carta di identità elettronica, come la nostra solo che lì ce l’hanno tutti o quasi davvero (e dal 2007 è sufficiente anche il telefonino con una Sim particolare). Ci si collega ed è tutto a portata di clic. Dal pagamento dei parcheggi pubblici (il servizio più usato) alle banche, dalle firme digitali alla scuola, per arrivare alla sanità e persino al voto. Sì, il voto: alle ultime elezioni 140 mila voti sono stati espressi elettronicamente da cittadini estoni che erano in 105 paesi. Timori di brogli non ne hanno. Anzi, si vantano di aver creato «il primo Stato indipendente dal territorio», nel senso che un cittadino estone ha gli stessi servizi in qualunque posto del mondo si colleghi. «Possono prendere la nostra terra, ma non il nostro Stato» è il motto che dicono guardando ad est da dove non viene mai nulla di buono non solo meteorologicamente.
Non è stato facile arrivare fin qui. L’ingegnere capo spiega il processo con la formula “innovation through pain”, innovazione dolorosa. E fa l’esempio della scuola dove da un giorno all’altro sono stati imposti i computer a tutti e se un insegnante non li usava non prendeva lo stipendio. Altro che incentivi. Ma in realtà quella estone è stata davvero una rivoluzione culturale, realizzata con un massiccio programma di alfabetizzazione digitale porta a porta, «contadino per contadino». Nessuno doveva restare escluso. È stata una rivoluzione il cui simbolo è il presidente della Repubblica in persona. Si chiama Toomas Ilves, ha 61 anni, è nato in Svezia da genitori rifugiati, è cresciuto negli Stati Uniti dove ha imparato il linguaggio informatico già a 13 anni, poi ha fatto il giornalista militante in Germania per Radio Free Europe e dopo la liberazione è diventato un diplomatico prima di diventare capo dello Stato. È lui il digital champion estone, il primo tifoso di Internet per tutti. Ora anche in Europa, «pensate che vantaggi avremmo se avessimo un unico mercato digitale con 500 milioni di utenti», dice sapendo che la palla ora è nelle mani di un altro estone, Andrus Ansip, primo ministro per dieci anni e ora al vertice della Unione Europea proprio con questa delega. C’era lui, Ansip, nelle foto che ti mostrano fieri, in occasione della firma digitale del primo trattato internazionale: Ansip era a Tallin; l’altro primo ministro era a Helsinki, era Jirky Katainen, oggi considerato il falco di Bruxelles. I due firmavano un accordo per portare il sistema digitale estone in Finlandia. Fatto. E adesso? Chi sarà il prossimo? Loro sperano nell’Italia.