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 2014  novembre 13 Giovedì calendario

Trasformare il peggior inquinatore del pianeta nel motore mondiale delle energie pulite è per la Cina una sfida più decisiva che consumare il sorpasso economico sugli Usa. Xi Jinping sa che su questa scelta si giocano la stabilità della nazione e il destino globale

Per la buona notizia il cielo è sorprendentemente azzurro, sopra Pechino: ma l’ultimo “sogno cinese” del leader rosso è una superpotenza verde. Trasformare il peggior inquinatore del pianeta nel motore mondiale delle energie pulite è però per la Cina una sfida più decisiva che consumare il sorpasso economico sugli Usa. Xi Jinping sa che su questa scelta si giocano la stabilità della nazione e il destino globale. I suoi consiglieri rivelano così che la svolta ecologica è stata impressa ora «per assenza di alternative e concentrazione di interessi».
Trent’anni di boom industriale hanno ridotto un Paese da 1,3 miliardi di persone a una bomba ambientale ad orologeria. La Cina, oltre al primato dell’inquinamento, detiene anche quelli dei veleni assorbiti e del consumo energetico. Non esiste più acqua potabile, regioni agricole sconfinate vengono abbandonate perché la terra è tossica, lo smog uccide quasi 700 mila persone all’anno. Qui si diffonde il 26% del CO2 mondiale, l’80% dell’elettricità deriva dalle centrali a carbone, combustibile che alimenta anche il 94% dei riscaldamenti. Sostanze chimiche emesse dalle fabbriche del Guangdong sono state rilevate in Alaska e al Polo Sud. Finito il “blu politico”, garantito ai leader Apec e a Obama, torneranno l’obbligo di mascherina e il piombo tingerà di nero chi esce di casa.
È una condanna che i cinesi hanno sopportato per uscire dalla fame prima, per tuffarsi nell’ebbrezza del consumismo poi. Il prezzo sono stati la vita, la distruzione di ambiente e clima, la soglia del non ritorno dell’effetto serra. La Cina, ancora in forte crescita industriale, fino a ieri aveva rifiutato date ravvicinate e impegni precisi a ridurre il disastro, opponendo due argomenti. I due terzi delle emissioni interne sono “per conto terzi”, ossia causate dalla delocalizzazione delle multinazionali straniere; i limiti sarebbero stati imposti da «potenze che per decenni hanno intossicato impunemente il pianeta, al fine di contenere l’ascesa economica di Pechino».
Lo scenario, responsabile del fallito vertice sul clima nel 2009, è cambiato con Xi Jinping. Il “nuovo Mao” aspira a entrare nella storia, ma deve contrastare il rallentamento della crescita nazionale e scongiurare la rivolta della nuova classe media che «non vuole morire avvelenata prima di essere diventata ricca». «È il mix di questi ingredienti politici, economici e ambientali – dice Guo Chengzhan, vice capo dell’ente per la sicurezza dell’energia atomica – ad aver convinto Pechino a cambiare modello di sviluppo e a lavorare ad un accordo verde con Washington». Investimenti e obiettivi sono senza precedenti. Per migliorare l’efficienza energetica sono stati stanziati 4 miliardi di euro entro il 2030, di cui uno l’anno prossimo. La Cina è già il primo produttore mondiale di pannelli solari e fotovoltaici e ha la maggior concentrazione di centrali eoliche e a biomassa. Entro dicembre aprirà tre nuove centrali atomiche nelle regioni Liaoning, Shandong e Fujian. Venti sono già attive, 28 in costruzione, 100 previste in trent’anni. Nel 2020 il nucleare varrà 88 gigawatt di potenza, in crescita dell’80% rispetto ad oggi. Per l’energia pulita, nel 2009 Pechino aveva investito 35 miliardi di dollari, rispetto ai 51 degli Usa: l’anno scorso il rapporto si è invertito, 72 miliardi a 47. Solo per infrastrutture e sicurezza la Cina spende di più: ieri Xi Jinping ha ripetuto però che «non si tratta di costi, ma di investimenti». Entro il 2030, picco delle emissioni, Pechino risparmierà 470 miliardi di combustibili fossili importati, mentre la green economy frutterà oltre 4 mila miliardi e cento milioni di posti di lavoro. Il ministro dell’ambiente Zhou Shengxian ha annunciato che «entro cinque anni il business dell’energia pulita sarà la prima voce del Pil cinese, assieme all’e-commerce». La leva della più sconvolgente rivoluzione cinese dopo quella comunista, sarà il mercato. Regioni e imprese che abbatteranno le emissioni nocive strapperanno prezzi migliori per l’energia, sgravi fiscali e clienti più ricchi. «Il principio – ha detto il direttore dell’Accademia nazionale delle scienze, Wang Weiguang – è «meno inquini più guadagni. E alla rivoluzione ecologica corrisponderà quella urbanistica». Entro dicembre Pechino annuncerà altri mille miliardi in cinque anni per «città e metropoli del futuro»: viabilità a impatto zero, strade e grattacieli progettati come centrali termiche, case e fabbriche solo a risparmio energetico.
Oggi in Cina il 93% delle costruzioni sono ad alta dispersione e nel 2013 si è consumato il passaggio di consegne nella corsa alla distruzione del pianeta: le emissioni pro capite cinesi sono arrivate a 7,2 tonnellate annue, rispetto alle 6,8 della zona Ue. In settembre Pechino ha strappato agli Usa anche il primo posto nell’importazione di greggio, mentre dal 2030 rileverà il record del consumo netto. A spianare una strada in salita, contribuirà così il gas di Mosca: grazie al patto Putin- Xi Jinping da 400 miliardi di dollari, per la prima volta il Cremlino dirotterà sulla Cina più metri cubi che verso l’Europa. Senza lo spettro dell’instabilità sociale e l’interesse del mercato però, confermano alti funzionari comunisti, Pechino non avrebbe concordato adesso con gli Usa una scadenza per la conversione. «I primi cinque anni – prevede l’economista Lin Yifu – perderemo 10 miliardi di dollari produzione e 15 di esportazioni. Dopo, guadagneremo 50 miliardi in più all’anno per due decenni, trascinando anche il resto del mondo verso la più ricca opportunità di profitto del secolo».
Restano due ostacoli: il protezionismo, che oppone barriere a prodotti e tecnologia cinese sostenuti dallo Stato, e l’ostilità verso i controlli esterni delle emissioni, che accomuna Pechino a Washington. Dumping e dati- truffa possono ridurre l’annunciato «salvataggio a due del pianeta» nell’affare più colossale, ma più sporco, del futuro. In Cina non ci vorrà molto a scoprirlo: al mattino basterà, come ha confessato di fare lo stesso Xi Jinping, «riservare la prima occhiata al colore fuori dalla finestra».