La Stampa, 13 novembre 2014
Benvenuti e Mazzinghi fanno pace dopo cinquant’anni. Il primo vinse le due sfide mondiali del 1965, ma il rivale non accettò mai quei verdetti
Segnali di pace, 50 anni dopo. Unilaterali, per ora. Storie di vecchie ruggini, lasciate lì dal tempo, che ora qualcuno vuol provare a pulire via. Storie di rivalità, che valicano lo sport e inondano la vita. Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi, boxe d’altri tempi, campioni senza tempo. Troppo diversi per non diventare acerrimi rivali. Spavaldo e sicuro l’uno. Chiuso e spigoloso l’altro. In mezzo il ring, che decreta vincitori, talvolta senza convincere del verdetto i perdenti. Due match mondiali, nel 1965, altrettanti brani di storia dello sport italiano, un unico vincitore, Nino Benvenuti. E la fiamma dell’odio che prende a bruciare, senza mai un incontro, un faccia a faccia, una stretta di mano a soffocarla per sempre. Di Mazzinghi il dente avvelenato. Di più, la profonda avversione, la rabbiosa disistima. Altra storia, rispetto a Coppi e Bartali. Perché rivalità è comprensibile antagonismo, odio è crudo sentimento. Qualche parola lontana, firmata Mazzinghi, a spiegarne le radici e tradurne l’asprezza: «Benvenuti non l’ho mai stimato. Era sbruffone e montato, furbo e scorretto. E poi era portato dalla Federazione, era nelle grazie di chi contava. Ma non l’ho mai invidiato, anche se io avevo la 5ª elementare e lui parlava un ottimo italiano». E il ricordo delle due sfide, come un velo oscuro che annebbia la ragione e azzera le chance di ritrovarsi: «Il primo match, un ko che non esisteva, solo un modo per fregarmi il titolo. Il secondo, un furto ai danni di chi aveva dominato. Lui sa bene che quei match li aveva persi: non lo ammetterà mai». Convinzioni profonde, difficili da sradicare. Come quelle di Benvenuti, di tutt’altro tenore: «Ho affrontato grandi campioni: da Emile Griffith a Carlos Monzon, ma l’avversario più duro è stato Mazzinghi». Ritrovarsi, il sogno di Benvenuti confessato al giornale «Il Tirreno». Segnali di pace, sperando siano raccolti: «Questa situazione mi ha sempre amareggiato. Gli ho teso la mano, lui l’ha sempre rifiutata, forse anche per colpa di altri. E poi è chi odia a stare male, mentre chi è odiato è in pace con se stesso. Mi piacerebbe incontrarlo: sarebbe bello potersi dire tutto, raccontarsi le gioie vissute o l’amarezza provata. Voglio essere in pace con tutti, a maggior ragione con chi in qualche modo ha segnato la mia vita. Sono stati amico di Griffith, ho incontrato Monzon: vorrei esserlo anche con Sandro. Ho lanciato il messaggio, ma non andrò a cercarlo, spero siano altri a farlo per noi». Parole chiare, per ora senza risposta: «Ma non mettiamo limite alla provvidenza».