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 2014  novembre 13 Giovedì calendario

La minoranza del Pd contraria alla linea di Renzi ora si organizza e decide di dire tre solidi no: no al nuovo patto del Nazareno, no alla riforma del lavoro, no alla legge di stabilità. Ma il premier è convinto di aver già rotto questo fronte unitario: «Ho l’accordo con Orfini e Speranza»

Darsi un’organizzazione per contrastare Matteo Renzi e le sue riforme, dalla legge elettorale al Jobs Act. La minoranza del Pd prova a uscire dalla sindrome Armata Brancaleone, ampiamente dimostrata con i voti in ordine sparso nei gruppi parlamentari, nelle direzioni, e che non hanno fatto altro che rafforzare il premier-segretario. Dunque, una riunione prima della direzione notturna finisce con una decisione univoca: non si deve votare la relazione di Renzi e se si vota bisogna non partecipare. Perché ora è il momento di dire dei “no” solidi: no al nuovo patto del Nazareno, no alla riforma del lavoro, no alla legge di stabilità. Renzi però è convinto di aver già rotto questo fronte sempre fragile. «Ho fatto l’accordo con Orfini», racconta ai suoi collaboratori. Ma questa non è una novità. «E ho stretto un patto con Roberto Speranza», aggiunge il premier. Come dire: la vecchia guardia faccia quello che vuole, il capofila dei giovani all’interno della pattuglia degli oppositori sta dalla mia parte.
Questo tassello del puzzle, raccontano a Palazzo Chigi, è stato aggiunto durante un colloquio di un’ora tra Speranza e Renzi, successivo al vertice con Berlusconi. In quel colloquio si è anche deciso di non votare in direzione. Una mano tesa di Renzi a tutti coloro che non vogliono seguire gli oltranzisti della sinistra.
Sono passaggi tuttavia che un pezzo della minoranza dà per scontati. Il capogruppo del Pd alla Camera Speranza viene ormai considerato perso alla causa dell’antirenzismo. Un gruppo di ribelli prova invece a darsi un proprio coordinamento politico e cerca di immaginare i numeri per un’opposizione al governo condotta dentro al Pd. All’ora di pranzo, ieri, si sono visti Stefano Fassina, Gianni Cuperlo, Pippo Civati, Francesco Boccia, Alfredo D’Attorre e alcuni bindiani. Quante truppe hanno nei due rami del Parlamento è difficile da stabilire, soprattutto perché Renzi ha dimostrato notevoli doti di negoziatore ed è capace di dividere gli avversari. Ma quello che conta, nella composizione del tavolo, sono i nomi che mancano ancora più di quelli presenti. È stata fatta una scrematura rispetto a pontieri, mediatori, ambasciatori che vengono considerati, sostanzialmente, renziani dell’ultima ora o dirigenti che giocano in proprio. «Noi, al contrario, dobbiamo fare squadra – spiega Civati —. Superando le correnti, superando la vecchia guardia e facendo le battaglie sui contenuti dei provvedimenti non sulle appartenenze». Quindi accanto agli esponenti della sinistra Pd siedono adesso anche ex democristiani come Bindi o ex prodiani come Boccia. Questa struttura che cerca di scrollarsi di dosso l’ombra dei “vecchi” invera l’incubo di Renzi e dei suoi fedelissimi a cominciare da Luca Lotti: un Vietnam parlamentare guidato dalla vera opposizione, quella del Pd. E lo convince a rimanere agganciato a Silvio Berlusconi, in funzione di contrappeso.
Però la minoranza può farsi del male da sola. Renzi infatti ha sottolineato con soddisfazione la presenza di Pierluigi Bersani e Massimo D’Alema alla riunione allargata della sinistra democratica. Come se la loro presenza indebolisse da sola le sfide dei ribelli. Sia l’ex segretario sia l’ex premier sono andati all’attacco di Renzi, sconfessando in blocco la legge elettorale e rifiutando il compromesso delle preferenze con i capolista bloccati. Il sospetto rimane sempre lo stesso: che l’inquilino di Palazzo Chigi sia intenzionato ad andare a votare in primavera.
Il banco di prova sulla tenuta del Pd e del gruppo parlamentare di Montecitorio si avrà nelle prossime ore. Sul Jobs Act, all’esame della commissione Lavoro, i mediatori propongono un emendamento per salvare nell’articolo 18 i licenziamenti disciplinari. Sarebbe un passo avanti. Ma il premier si fida poco. E anche ieri in direzione ha fatto capire di avere in serbo l’arma della fiducia. «Si può chiudere rapidamente con due alternative: procedere con la fiducia o garantire l’entrata in vigore dal primo gennaio anche con modifiche da verificare».