Corriere della Sera, 13 novembre 2014
Abbiamo salutato come una vittoria di civiltà la rinnovata possibilità di accedere alla fecondazione eterologa nel nostro Paese, e ora ci accorgiamo che le cose continuano come prima perché non ci sono donatrici di ovociti. I motivi? L’assenza di incentivi economici alla donazione e la mancanza di cultura della donazione di queste cellule
Il problema della mancanza di ovociti per la fecondazione eterologa è puntualmente venuto a galla, come previsto. Del resto accade spesso che l’Italia si areni fra intenzioni e attuazioni. Abbiamo salutato come una vittoria di civiltà la rinnovata possibilità di accedere alla fecondazione eterologa nel nostro Paese, perché poneva fine a una discriminazione su base di censo, visto che chi poteva la faceva all’estero. E ora ci accorgiamo che le cose continuano come prima perché non ci sono donatrici. I motivi? L’assenza di incentivi economici alla donazione (salvo aggirare l’ostacolo con «rimborsi» vari) e, secondo diversi osservatori, la mancanza di cultura della donazione di queste cellule (che richiede una stimolazione ovarica non del tutto priva di rischi).
Su questo punto vale forse la pena osare una riflessione impopolare: donazione per chi? Per una donna di 35 anni in menopausa precoce? Per una devastata dall’endometriosi? Per una che ha avuto un tumore? Pare indiscutibile incoraggiare alla donazione in questi casi.
Promuovere la donazione gratuita per una donna che ha più di 45 anni e che, per libera e legittima scelta, ha deciso di ritardare il momento in cui avere figli? Antipatico dirlo ma l’indicazione medica sarebbe meno stringente e, forse, più comprensibile la richiesta di un compenso. Politicamente scorretti per politicamente scorretti, andiamo oltre: liberalizziamo la vendita degli ovociti? Oggi gli ovociti, domani un rene? Non è la stessa cosa, nel primo caso non ci sarebbe la perdita della possibilità di avere figli, nel secondo se «salta» il rene residuo c’è la dialisi. Però qualche timore di una deriva potrebbe esserci.
E allora? Terza via: mettiamo via gli ovociti, congeliamoli finché siamo giovani così magari ci serviranno più in là negli anni. Niente di male, a meno che non sia il correlato di una cultura che, per varie ragioni, induce a pensare che sia privo di costi il rimandare la gravidanza molto in là nel tempo. Non è senza costi: una cosa è partorire a 25 anni o a 35, un’altra a 48. Però così siamo daccapo e rimane la realtà di oggi, che è quella di ieri: chi vuole può comprarsi gli ovociti all’estero chi non può rimane discriminato. E allora che fare? Ognuno avrà una sua opinione: il dibattito è aperto e complesso.
Non guardare le cose come stanno sarebbe ipocrita, non affrontarle tenendo conto di tutti gli aspetti superficiale. Rimane una considerazione: insieme alla cultura della donazione si potrebbe cominciare a promuovere anche una cultura dell’accettazione (non della rassegnazione) per scongiurare quella della disperazione e arginare quella della commercializzazione eccessiva dei problemi di infertilità.