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 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

La Corte europea di Giustizia del Lussemburgo ha confermato ieri in una attesa sentenza, politicamente significativa, che un cittadino dell’Unione senza una occupazione non può chiedere di beneficiare di aiuti sociali in un paese terzo nel quale risiede. e il Regno Unito vuole mettere freno al turismo del welfare e alla libera circolazione delle persone tra i Ventotto

La Corte europea di Giustizia del Lussemburgo ha confermato ieri in una attesa sentenza, politicamente significativa, che un cittadino dell’Unione senza una occupazione non può chiedere di beneficiare di aiuti sociali in un paese terzo nel quale risiede. La decisione giunge mentre alcuni paesi – tra cui il Regno Unito – vogliono mettere un freno al turismo del welfare e alla libera circolazione delle persone tra i Ventotto, in un contesto di incertezza economica e fragilità politica.
Due persone di nazionalità rumena, madre e figlio, si sono viste negare le prestazioni assicurative di base dal Jobcenter Leipzig, e hanno fatto ricorso dinanzi a un tribunale locale. Alle autorità tedesche, la madre risulta non avere una occupazione, non cercare lavoro e non possedere particolari qualifiche professionali. Il tribunale sociale di Lipsia si è quindi rivolto ai giudici europei che hanno preso una decisione sulla base della direttiva denominata “Cittadino dell’Unione”.
Nella sentenza, la Corte ricorda che durante i primi cinque anni del soggiorno all’estero la direttiva stabilisce una serie di regole. Il paese ospitante deve garantire il diritto al soggiorno «a condizione che le persone economicamente inattive dispongano di risorse proprie sufficienti». Precisa il tribunale: «Si intende in tal modo impedire che cittadini (…) economicamente inattivi utilizzino il sistema di protezione sociale dello Stato ospitante per finanziare il proprio sostentamento».
Elisabeta Dano e il figlio Florin abitano in Germania dal novembre 2010, quindi da meno di cinque anni. «La Corte statuisce che la signora Dano e suo figlio non dispongono di risorse sufficienti e non possono pertanto rivendicare il diritto di soggiorno in Germania in forza della direttiva Cittadino dell’Unione», si legge nel comunicato pubblicato ieri a Lussemburgo. Il tribunale precisa che una decisione nel merito spetta al tribunale nazionale.
La presa di posizione giunge mentre alcuni paesi stanno rivedendo le loro regole sul fronte dell’immigrazione. In Germania c’è un acceso dibattito sull’accesso degli stranieri, anche europei, al generoso sistema di welfare state; mentre il premier inglese David Cameron si è detto pronto a limitare il numero di ingressi nel paese, provocando la viva reazione di molti vicini. In questo senso, la sentenza di oggi ha un evidente peso giurisprudenziale, ma anche un chiaro significato politico.
«Una cosa messa in luce dalla sentenza è che la libertà di movimento, come hanno detto il premier e altri, non è un diritto indiscusso», ha spiegato un portavoce di Downing Street. Il Bundestag tedesco ha approvato in prima lettura modifiche alla legge sull’immigrazione. Tra queste, l’obbligo per un cittadino europeo dopo sei mesi di residenza senza un lavoro di dimostrare di avere «una possibilità ragionevole» di trovare un’occupazione. Non è chiaro come la norma possa essere applicata in concreto.
A Londra come a Berlino, la scena politica è segnata dalla crescita dei partiti più radicali: lo UKip e Alternative für Deutschland, spesso anti-immigrazione. La Germania vuole difendere la libera circolazione delle persone, ma al tempo stesso evitando frodi ai danni del suo welfare state. Tra il luglio 2013 e il luglio 2014, il numero di rumeni e bulgari con un lavoro in Germania è salito da 164mila a 253mila. Di questi, coloro che beneficiano di aiuti sociali sono aumentati da 38 a 66mila.
Secondo alcuni osservatori, la sentenza del tribunale europeo rafforza la posizione di coloro che vogliono introdurre freni e ostacoli alla libera circolazione delle persone. Altri, invece, fanno notare che la decisione non fa che confermare come le attuali regole comunitarie siano sufficienti per evitare eventuali comportamenti dolosi. Da Berlino, Karl Schwierling, portavoce del ministero del Lavoro tedesco, ha commentato: «La sentenza offre chiarezza legale e protegge il nostro sistema previdenziale».
Beda Romano
Cosa temeva la Germania fino all’attesa pronuncia della Corte europea arrivata ieri? Temeva un’impennata delle richieste di sussidi della legge Hartz IV, riforma di quell’agenda 2010 che con Gerhard Schröder cambiò il volto al mercato del lavoro. Paventava un assalto alla diligenza del suo generoso welfare, soprattutto dei nuovi immigrati dall’Europa dell’Est, rumeni e bulgari in primo luogo, per i quali le barriere alla libera circolazione sono cadute soltanto sette anni dopo il loro ingresso nell’Unione, cioè il primo gennaio scorso.
Nelle cifre l’assalto non si è visto ma i primi dati sull’immigrazione al tempo della spaventosa crisi economica hanno spinto i previdenti tedeschi a correre ai ripari. Anche per stroncare l’ascesa dei movimenti euroscettici, sulle orme di David Cameron, sempre più in difficoltà e scomposto nell’inseguimento degli indipendentisti. 
Nel 2013 un milione e duecentomila persone sono immigrate in Germania, un aumento del 13% rispetto al 2012. Il saldo netto (sottratte le partenze) ha totalizzato 437mila, il picco in vent’anni. E l’aumento maggiore riguarda proprio gli arrivi dalla Nuova Europa, i dieci Stati che hanno aderito dal 2004 in poi: +15,9% rispetto all’anno precedente a fronte del 10% degli altri.
La paura era tale che il Governo di grande coalizione ha approvato, a fine agosto, un progetto di legge che introduce limiti ai benefici e limita a sei mesi il permesso di residenza ai fini della ricerca di un lavoro. In realtà la legge tedesca escluderebbe già questi stranieri dai benefici della Hartz IV ma centinaia di giudici hanno esteso i sussidi invocando il divieto di discriminazione e rovesciando i «no» delle amministrazioni. Si tratta di assegni importanti se, come ha riassunto ieri la Faz commentando la notizia, una famiglia di tre persone può ricevere 1.800 euro al mese. 
Le leggi tedesche garantiscono due categorie di benefici sociali. Il primo tipo di sussidio deriva dal versamento di contributi e non è mai stato messo in discussione, naturalmente. Se uno straniero lavora e versa i contributi per un periodo minimo ha diritto, se perde il lavoro, a un assegno di disoccupazione, per la durata di un anno, pari al 70% dello stipendio. La seconda tipolgia di beneficio scatta a favore dei disoccupati di lungo termine o di chi cerca occupazione. Può essere percepita anche da chi lavori ma abbia un reddito troppo basso. Nel caso della cittadina rumena finito davanti alla Corte di Lussemburgo le autorità tedesche avevano rifiutato di concedere la cosiddetta “assicurazione di base” vale a dire la prestazione di sussistenza più l’assegno sociale per ogni figlio a carico (diverso dal kindergeld a cui hanno diritto tutti a prescindere dal reddito) nonché un contributo per le spese di alloggio e riscaldamento. Per una singola persona la cosiddetta assicurazione di base vale 391 euro al mese. Nel caso portato alla Corte Ue non erano in discussione, invece, il kindergeld (184 euro al mese per ogni figlio) né la pensione alimentare di 133 euro mensili.
Da ieri dunque la Germania e tutti gli Stati che intendano limitare il welfare agli immigrati possono dormire sonni tranquilli. Avrebbero potuto farlo anche prima, stando alle statistiche. Dati e ricerche, infatti, suggeriscono che il turismo del benefit è un fenomeno minore, relegato a fasce marginalissime. Uno studio del 2013 della Commissione ha dimostrato che i cittadini provenienti da altri Stati dell’Unione non vivono di sussidi più di quelli del paese ospitante. E dei quattro milioni di persone che in Germania ricevono gli assegni Hartz IV meno del 2% arriva da Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia. L’1% dalla Bulgaria e dalla Romania. Anche in Gran Bretagna i cittadini dai nuovi Stati Ue costituiscono l’1% di chi chiede i benefici. Sembra insomma che il timore fosse in realtà l’onda euroscettica ai tempi della grande crisi.
Roberta Miraglia
LA DECISIONE
Nessuna discriminazione
La sentenza della Corte di giustizia è arrivata in seguito al ricorso di una madre rumena, Elisabetta Dano, che si era vista negare dalle autorità di Lipsia il sussidio sociale che spetta a chi in Germania abbia perso il lavoro da oltre un anno, e non abbia dunque più diritto al sussidio di disoccupazione. La Corte ha stabilito che, poiché la donna non ha particolari qualifiche professionali e non è entrata in Germania per cercare lavoro, il rifiuto delle autorità tedesche di garantirle il sussidio non viola le leggi antidiscriminazione dell’Unione europea. «I cittadini europei senza lavoro che vanno in un altro Stato membro solo per ottenere assistenza sociale – si legge nella sentenza – possono essere esclusi da certi benefit».