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 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

Gli amori di Borges nei ricordi di Adolfo Bioy Casares

Ricorre quest’anno il centenario della nascita del grande scrittore di Buenos Aires Adolfo Bioy Casares (1914-1999), che lo accomuna al concittadino Julio Cortázar, anche lui nato nel 1914 ed ugualmente legato alla persona e all’opera di Jorge Luis Borges, nume tutelare della moderna letteratura.
Dunque un trittico di autori argentini dove il paradosso, la finzione, il fantastico, il racconto poliziesco esplorano zone oscure di realtà inesistenti, sollevando continui interrogativi sulla verità dell’esistenza e del nostro essere. Un giorno è stato chiesto a Jorge: «Lei è Borges?», e lo scrittore cieco, guardando senza vedere l’interlocutore, ha risposto: «A volte, sì». Verrebbe da chiedere, e le altre volte chi era Borges? L’omissione crea uno spazio incerto, una specie di vuoto pneumatico dove si colloca l’io recondito dell’indagine borgesiana. Lo stesso distacco che l’autore mette tra sé e il personaggio della sua invenzione lo ritroviamo con più determinazione nell’opera dell’amico Bioy Casares, tanto amico da confondersi a tratti con il maestro argentino; come avviene in ben cinque racconti scritti come divertissement che firmano congiuntamente con gli pseudonimi H. Bustos Domecq e B. Suárez Lunch.
Ora un nuovo libro italiano – Fernando Sorrentino, Sette conversazioni con Adolfo Bioy Casares (Solfanelli, pagg. 242, euro 16; introduzione e traduzione di Armando Francesconi) consente una lettura più approfondita che mette bene in luce il pensiero e la personalità dello scrittore. Si tratta di sette conversazioni che il saggista e romanziere Fernando Sorrentino, anch’egli di Buenos Aires, intrattiene per sette sabati consecutivi con l’autore de L’invenzione di Morel. La comune cittadinanza e l’analogo interesse per l’esercizio letterario richiama persone e momenti confidenziali di vita e lavoro che possono non interessare il lettore italiano, anche se questo è subito sedotto dal tono intimo della confessione che rivela episodi e dati inediti, in gran parte sulla figura del grande veggente Borges che ci appare con una fisionomia nuova e sorprendente, quella dell’eterno e inappagato innamorato. Leggiamo nella terza intervista: «Il fatto è che Borges visse per quasi tutta la sua vita degli amori giovanili sfortunati e molto intensi». E ancora: «Borges è vissuto soffrendo d’amore fino alla morte. E di amori in genere segreti». Più avanti, incalzato dalle domande che scrutano sulla sua relazione con Borges, considerato un fratello, Bioy riferisce che l’amico si innamorava perdutamente delle donne per cui «soffriva molto e lasciava intendere che forse era troppo pazzamente innamorato», avallando la tesi di una sua incapacità a comprendere l’animo e la psicologia femminile: «Borges – commenta – non aveva un buon fiuto nello sceglierle le donne che molte volte lo maltrattavano proprio per questa dedizione eccessiva».
Del resto Bioy Casares ha tracciato un preciso profilo dell’amico nel suo monumentale diario intitolato semplicemente Borges (2006), documentando il felice rapporto di collaborazione con il maestro, dove l’ammirazione è reciproca e paritaria la vis della dialettica.
Tra i diversi temi che attraversano la conversazione tra Sorrentino e Bioy Casares, insieme all’immancabile dibattito estetico sul genere del tango («A Borges piaceva quello primitivo, non sentimentale»), emerge il ricordo di Cortázar nel primo incontro avvenuto a Parigi (1964) e la nascita della loro amicizia, come dire, a prima vista: «Ci sentimmo abbastanza amici sin dalla prima volta», confessa. In quell’occasione l’autore coglie subito il carattere timido di Julio e quel suo modo cerimonioso di porsi, d’altronde simile al suo che lo spinge a fare un inchino ogni volta che entra in un luogo pubblico. Ma c’è qualcosa di più importante che lo lega all’esperienza letteraria di Cortázar ed è la distanza che i due pongono tra loro e la scrittura, inventando specchi deformanti, trame fantastiche o poliziesche anche quando guardano alla realtà, come nella descrizione degli sfondi riconoscibili dei vecchi quartieri di Buenos Aires. Il lettore crede che siano mondi veritieri poiché traducono spazi possibili concepiti dalla sua mente o abitati dalla sua immaginazione, come accade ad esempio in Borges. È però sufficiente seguire l’operazione compiuta da Bioy Casares nel romanzo L’invenzione di Morel (uscito nel 1940), ambientato in un’isola deserta dove uno scrittore in fuga si nasconde credendo di essere nella terra inesistente di Villing, per renderci conto che il racconto è delegato alla fantasia del lettore: è lui che narra la storia, che crea e inventa soluzioni inattese superando l’impasse del limite della realtà umana nell’illusione forse di esorcizzare e vincere la stessa morte.