il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2014
La commissione dei grandi fiaschi
Davvero una sentenza, per essere giusta, dev’essere “coraggiosa”? L’ha detto Roberto Saviano, comprensibilmente sconcertato da quella sulle minacce lanciate a lui e a Rosaria Capacchione dagli avvocati di due boss casalesi. Perché il Tribunale di Napoli abbia assolto i boss e condannato solo un avvocato, lo scopriremo dalle motivazioni, anche se è probabile che i giudici abbiano ritenuto insufficiente la prova che il legale fosse stato incaricato dai suoi clienti di lanciare quegli avvertimenti. Spesso l’insufficienza di prove è un comodo rifugio per giudici pavidi. Ma – vedi caso Cucchi – può anche nascondere altro: indagini malfatte, oppure depistate da imputati inquinatori e/o falsi testimoni e/o apparati dello Stato. Il guaio è che sovente in Italia, nei processi ai potenti, c’è un terzo fattore inquinante: le campagna di stampa degli innocentisti a prescindere, quasi sempre fondate su informazioni false. È il caso dell’indagine e poi del processo ai sette “scienziati” della commissione Grandi Rischi della Protezione civile che nel 2009 rassicurarono e disinformarono i cittadini aquilani sull’assenza di pericoli di terremoto, inducendoli a restare o a tornare nelle proprie case proprio nella notte della scossa fatale. Questi baroni universitari legati mani e piedi alla politica sono una lobby potentissima, soprattutto nei media. E infatti i magistrati de L’Aquila han subìto un fuoco incrociato di attacchi concentrici perché indagavano, rinviavano a giudizio e condannavano. Ieri gli attacchi si sono trasformati in elogi, perché la Corte d’appello ha assolto tutti (tranne uno, il prof. De Berardinis, condannato per una piccola parte dell’imputazione). Dopo anni di processo, i giornali continuano imperterriti a fingere di ignorare qual era l’accusa: nessuno era imputato per non aver previsto che ci sarebbe stato il terremoto, ma al contrario per aver previsto che non ci sarebbe stato. Nessuno ha sostenuto che i terremoti si possano prevedere: anzi, proprio perché non si può prevedere che ci saranno, non si può neppure prevedere che non ci saranno. Ma alla malafede non c’è rimedio. Il Foglio: “Cancellata la sentenza ridicola che condannava i ‘colpevoli’ di non aver indovinato la data e il luogo in cui sarebbe avvenuto il terremoto”. Il Giornale: “L’Aquila, sisma imprevedibile”. Libero: “Non previdero il sisma: assolti. Ora chi paga?”, “I terremoti non si possono prevedere”. Repubblica: “Assolti gli esperti che non diedero l’allarme”. Corriere: “Non rassicurarono i cittadini. Assolti tutti gli scienziati”, “Giustizia senza caccia alle streghe... Non era mai accaduto che scienziati e tecnici venissero condannati in primo grado per omicidio e rischiassero di pagare con la prigione per le troppe cose andate storte nel corso di un terremoto che nessuno poteva prevedere”. Tutte balle. Come spiegò il giudice del tribunale Marco Billi che condannò tutti a 6 anni, nella sua impeccabile sentenza di 940 pagine, la Grandi Rischi diffuse notizie “assolutamente approssimative, generiche e inefficaci”. In una riunione convocata apposta da governo ed enti locali per tranquillizzare gli aquilani dopo le 400 scosse in quattro mesi di sciame sismico, l’assessore regionale alla Protezione civile Daniela Stati salutò così i Sette Luminari: “Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampa”. Nessuno poteva predire scientificamente quel che sarebbe o non sarebbe accaduto: eppure la scienza fu accantonata per motivi politici. Risultato: 309 morti. Con le sette condanne per lesioni e omicidi colposi la scienza non c’entrava nulla: “Il processo – scrive il giudice – non era volto alla verifica della fondatezza, correttezza e validità sul piano scientifico delle conoscenze in tema di terremoti. Non è sottoposta a giudizio ‘la scienza’ per non essere riuscita a prevedere il terremoto. Il compito degli imputati non era certamente quello di prevedere (profetizzare) il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l’ora e la magnitudo”.
Tutt’altro: il loro compito “era invece, più realisticamente, quello di procedere, in conformità al dettato normativo, alla ‘previsione e prevenzione del rischio’. È pacifico che i terremoti non si possano prevedere, in senso deterministico, perché le conoscenze scientifiche (ancora) non lo consentono; ed è altrettanto pacifico che i terremoti, quale fenomeno naturale, non possono essere evitati: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile. Per gli stessi motivi nessuno è in grado di lanciare allarmi, scientificamente fondati, circa una imminente forte scossa”. Ma “proprio sulla corretta analisi del rischio andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione”: questo è il compito che la legge assegna alla Grandi Rischi: non prevedere a prevenire “il terremoto quale evento naturale, bensì il rischio quale giudizio di valore”. La Corte d’appello non è stata dello stesso parere e sarà curioso leggere le motivazioni. Ma stavolta sarà difficile rifugiarsi nell’insufficienza di prove, perché in questo processo tutte le carte erano in tavola: l’intercettazione di Bertolaso che dice a una funzionaria “vengono i luminari, è più un’operazione mediatica, loro diranno: è una situazione normale, non ci sarà mai la scossa che fa male”; le dichiarazioni rese ancor prima che i “luminari” si riunissero (Bertolaso: “Non c’è nessun allarme in corso”; De Berardinis, ingegnere idraulico del tutto incompetente in materia sismica: “La comunità scientifica conferma che non c’è pericolo: la situazione è favorevole”); il verbale della riunione senza firme, poi ritoccato e firmato in fretta e furia sei giorni dopo, a sisma avvenuto; De Berardinis che invita gli aquilani a star tranquilli e a “bersi un bicchiere di Montepulciano”; e le testimonianze dei parenti di ben 29 vittime sul fatto che proprio quelle dichiarazioni indussero i loro cari ad abbassare la guardia su un rischio più che mai incombente e a restare in casa anziché uscirne come avevano fatto fino al giorno prima. Non erano le prove che mancavano, ma il coraggio di vederle. Ora si spera che quel coraggio alberghi almeno in Cassazione. A nessun giudice, per essere giusto, dovrebbe essere richiesto il coraggio. In Italia, purtroppo, è richiesto addirittura l’eroismo.