Corriere della Sera, 12 novembre 2014
Dal torrente che scorreva sotto un palazzo di cinque piani a Genova al Turbinara che ieri ha mandato Chiavari sott’acqua. Ecco perché tutte le volte che piove è un disastro
Nell’aprile del 1950 il geometra Giuseppe Muratore ottenne il permesso di costruire un cinematografo. L’area prescelta era di proprietà del Demanio e corrispondeva all’alveo del torrente Chiaravagna. Appena due mesi più tardi il geometra cambiò idea e presentò al Comune di Genova un progetto per la costruzione di un palazzo residenziale a cinque piani. L’edificio venne ultimato nell’inverno del 1953. All’epoca le cose almeno si facevano in fretta.
Le fondamenta appoggiavano nel letto di quel rigagnolo, che ci scorreva sotto. Nel 1966, tredici anni dopo, il Genio civile si accorse che c’era qualcosa che non andava nell’esecuzione dell’opera, ritenuta «idraulicamente non idonea», e reagì sdegnato chiedendo un adeguamento dell’affitto da pagare allo Stato.
Muratore si ribellò. Dopo ingiunzioni e ricorsi la causa cominciò nel 1977 e si concluse nel gennaio del 2011. Nell’attesa c’erano state cinque esondazioni del Chiaravagna nelle quali l’edificio costruito interamente sul suo alveo «ha giocato un ruolo importante, se non fondamentale». L’ultima, il 4 ottobre del 2010, fece un disastro, con danni stimati in 180 milioni di euro.
Una terra delicata
I grandi poeti come Camillo Sbarbaro hanno sempre ragione. «Scarsa lingua di terra che orla il mare/chiude la schiena arida dei monti/scavata da improvvisi fiumi». La Liguria è così. Una bellissima trappola, dice Alfonso Bellini, che non è un poeta ma uno degli uomini più impegnati del pianeta in quanto geologo incaricato delle perizie su ogni disastro che avviene in Regione. I dati dell’Istituto di Ricerca e Protezione Idrogeologica ligure del Cnr dicono che dal 1960 al 2014 ci sono state 31 alluvioni o frane che hanno causato vittime. A fare la media, succede almeno una volta ogni due anni, quando va bene. Dall’inizio del nuovo secolo gli eventi classificati «di natura disastrosa» per i danni umani e non solo che hanno causato sono stati quindici. La premessa sul territorio era d’obbligo. Poi c’è tutto il resto. «In questo ambiente così fragile – dice Bellini – l’uomo si è mosso come un elefante in una cristalleria».
Tutti fermi
La Liguria conosce ogni suo male. I Piani di Bacino regionali del 1998 e del 2002 hanno scattato la fotografia di ogni settore a rischio, individuando i punti di maggiore fragilità. A Levante, Il torrente Turbinara che ieri ha mandato Chiavari sott’acqua era considerato un rivo tombato con una copertura vegetale in stato di abbandono che aumenta la presenza di materiale «flottante» e diminuisce la capacità già ridotta ai minimi termini del suo letto. I rivi del Ponente genovese nell’ultimo secolo hanno prodotto una sequenza di eventi dannosi che ha dell’incredibile. Eppure le loro condizioni idrauliche, salvo il Chiaravagna di cui sopra, non sono mai cambiate dal lontano 1970. Il rischio si prevede, alla previsioni del rischio non segue mai una prevenzione adeguata.
Le ultime quattro alluvioni liguri sono classificate come «eventi attesi», dove «la totalità dei danni è dovuta a situazioni già individuate e note». Ma nessuno fa nulla, prima. Dopo, sempre dopo, tutta un’altra storia.
Permessi e indennizzi
Questa è la terra dove le concessioni idrauliche sono una causa dei disastri. Dal 1904 al 1972, quando la competenza spettava al Genio civile, lo Stato concedeva autorizzazioni per lavori vicini a rivi e torrenti su terreni di sua proprietà seguendo un criterio discrezionale. Le pratiche erano rinnovate senza fare alcuna verifica, quelle con concessioni scadute venivano lasciate «dormire» per anni se non per decenni, ratificando di fatto il possessore di un’opera divenuta abusiva. La cementificazione della Liguria è avvenuta per germinazione spontanea, senza alcun controllo. Nel 2001 sono subentrati gli enti locali, che invece di sanare hanno scelto di monetizzare. Con la benedizione di una delibera regionale del 2005 che ha eletto l’obolo a metodo, la Provincia cominciato a spedire lettere nelle quali informava i proprietari di opere inadeguate e pericolose dell’impossibilità di rinnovare le loro concessioni senza un adeguato indennizzo per l’occupazione di bene demaniale. Casse piene, come gli alvei dei torrenti liguri. Al momento nella sola provincia di Genova, che può vantare 16 comuni alluvionati oltre al capoluogo, si contano 270 edifici fuori norma su terreno demaniale che approfittano di questa specie di condono idraulico a rate.
Poca memoria
Già nel novembre 1822 il tempo scarseggiava. Dopo una esondazione del Bisagno all’architetto e ingegnere Carlo Barabino, progettista del teatro Carlo Felice e del cimitero di Staglieno, vennero dati solo tredici giorni per redigere un elenco delle cose da fare nel caso di ripetizione dell’evento. È passato qualche giorno da allora, ma quel piano di emergenza è rimasto in solitudine. Non esiste un piano di emergenza per il torrente che toglie il sonno a Genova, il rivo che ha causato più vittime. Quello per i rivi di Sestri è stato fatto dopo il disastro del 2010, quello per il Fereggiano dopo i sei morti del 2011. La Liguria è il luogo del «dopo». Ci sono voluti sessant’anni per abbattere la palazzina sul torrente Chiaravagna. L’evento è stato celebrato come una svolta. Dall’altra parte della città sorge un edifizio gemello e abusivo costruito ben dentro il Fereggiano. È di proprietà del Comune.