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 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

«Il mio vuole essere un messaggio di ottimismo. Abbiamo bisogno di una crescita più forte, ma il Paese non si è fermato». Parla Pietro Salini, alla guida, dopo la fusione con Impregilo, della prima azienda nel settore delle infrastrutture. Intanto si appresta ad assumere 15 mila persone nel mondo nei prossimi tre anni e di queste 2.500 in Italia

«Pensi alla Metro 4 di Milano, si sta discutendo se farla o meno dimenticando che 6 chilometri sono già pronti, pagati e che da Linate è già arrivata al Forlanini. È l’atteggiamento che porta, a volte, in Italia a rimettere in discussione ogni minima scelta. La parola stabilità pare esserci estranea, eppure è quella che ci può essere più di aiuto e che ci può permettere di guardare al futuro con maggiore fiducia». Pietro Salini, guida quella che è diventata, dopo l’operazione di fusione con Impregilo, la prima azienda nel settore delle infrastrutture del nostro Paese e una delle leader a livello mondiale. Si appresta a lanciare una campagna assunzioni di 15 mila persone nel mondo nei prossimi tre anni e di queste 2.500 in Italia nei prossimi dodici mesi e 100 giovani ingegneri neolaureati nei prossimi tre mesi. Oltre a questo un programma pluriennale di tutoring di 100 talenti in Italia e 400 all’estero,ogni anno, che verranno seguiti sin dall’inizio dei propri studi. 
Un annuncio che fa piacere, ma l’orizzonte non appare roseo, piuttosto plumbeo e non solo perché piove... 
«Proprio perché piove invece di essere concentrati su un Paese piegato e messo in ginocchio dovremmo tutti pensare a investire, a evitare che fatti tragici accadano ancora e risolverli in maniera definitiva». 
Di investimenti se ne vedono pochi in giro. 
«Il mio vuole essere un messaggio di ottimismo. Abbiamo bisogno di una crescita più forte, ma il Paese non si è fermato. Provvedimenti come lo Sblocca Italia, la Legge di Stabilità, la riapertura dei cantieri sono un fatto concreto». 
Il governo, Renzi, vi ha dato una mano quindi? 
«Credo che il governo abbia capito che sono le infrastrutture a creare e spingere l’occupazione. Avere come obiettivo di mobilizzare il 2% del Pil, qualcosa come 36 miliardi di euro, in opere importanti per il Paese avrà riflessi significativi per stimolare ripresa e occupazione». 
Non ci sono molti suoi colleghi imprenditori a dirlo. 
«È vero che molti sono orientati ai costi, a tagliare. Se permette quella è la parte più facile. Tagliare, spegnere la luce e lavorare al buio può anche far risparmiare nell’immediato, ma difficilmente si riesce a capire cosa si faccia e che cosa si produca. Intendo dire che il bilancio si fa tenendo a bada i costi ma anche ponendosi il problema di come aumentare i ricavi e lì che abbiamo margini significativi di crescita». 
È per questo che siete usciti dalla vostra organizzazione di settore, l’Ance (l’associazione costruttori), come Fiat da Confindustria o Unipol-Fonsai da Ania, vi sentivate estranei? 
«No. Nel nostro caso eravamo troppo grandi per un’associazione come l’Ance che tiene assieme imprese con interessi e esigenze diverse. Confindustria può avere ancora un ruolo. Ma è chiaro che si tratta di associazioni che tutte dovranno ripensarsi se vogliono ancora contare». 
Certo per voi è più facile siete leader in Italia e tra i pochi player globali nelle infrastrutture… 
«Non lo eravamo quando abbiamo iniziato questo percorso. E quando abbiamo cominciato a pensare di mettere assieme Salini e Impregilo c’era ancora Gheddafi e le primavere arabe sarebbero esplose in quei mesi. Nessuno pensava che dopo la crisi del 2008 ci sarebbe stata un’altra recessione. Eppure siamo arrivati qui, tramite un’operazione trasparente e di mercato, con un’offerta pubblica d’acquisto. Da gennaio siamo operativi. Le do qualche cifra per delineare l’evoluzione: 146 milioni di vendite nel 2001, 4,3 miliardi nel 2014, 7 entro il 2017». 
D’accordo l’ottimismo ma il mondo va in un’altra direzione. 
«Lo sa che non è vero? Nonostante la recessione gli investimenti globali nel settore delle costruzioni tra il 2008 e il 2012 sono cresciuti del 3% l’anno. E le stime indicano un altro 4% l’anno. Vogliamo perderci un mercato che vale 35,2 trilioni di dollari tra il 2013 e il 2017?». 
Ammetterà che non basta essere ottimisti… 
«Certo, ma è innegabile che il XXI potrà essere il secolo di un New Deal basato sulle infrastrutture. Avrà bisogno di nuove risorse, di giovani. Parafrasando Roosevelt “abbiamo bisogno del coraggio dei giovani”. Per questo abbiamo lanciato un programma che si chiama “Il Coraggio del Lavoro”. Non è solo ottimismo, ma atti concreti, assunzioni, formazione, sostegno ai talenti. Siamo fieri del fatto che in questi giorni apriremo l’ultima galleria della Salerno Reggio Calabria. Ma quanto ha danneggiato la ripresa pensare che si potesse fare a meno di infrastrutture?». 
Curioso che faccia un esempio di grande opera al Sud, normalmente si guarda al più “dinamico” Nord. 
«Non è curioso, è semplicemente il capire che ogni nazione ha il suo Sud; ce l’ha la Germania, la Francia, la Spagna … La differenza è che soltanto noi per mancanza di creatività pensiamo di puntare su turismo e cultura perché già ci sono e quindi non dobbiamo fare niente e ci appare facile.. Ma è una magra consolazione, lo sviluppo ha bisogno di ben altre visioni». 
Brucia ancora il no al Ponte sullo Stretto… 
«Ai tanti oppositori bisognerebbe ricordare i 45 mila posti di lavoro persi, gli investimenti pagati tutti da privati e quell’unificazione del territorio che non si fa con le belle parole ma con gli atti concreti. Per fare i turisti in un luogo bisogna prima arrivarci, monumenti inaccessibili è come non averli. La cultura che stiamo offrendo è quella dei no, dei ripensamenti, degli alibi per non fare. Noi vogliamo invece andare controtendenza e farlo con coraggio. Sì il coraggio del lavoro».