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 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

L’intesa storica tra Barack Obama e Xi Jinping, sotto il cielo blu Apec di Pechino. L’accordo sulla cancellazione dei dazi per l’hitech, il libero scambio, e il clima

Corriere della Sera
«Vedete che bel cielo blu? Purtroppo è blu Apec: è provvisorio, svanirà dopo il vertice». È lo stesso presidente Xi Jinping a fare dell’amara ironia sull’inquinamento ormai soffocante prodotto dalla rapida industrializzazione cinese: smog solo momentaneamente svanito perché una settimana prima del vertice Asia-Pacifico il governo ha ordinato il blocco di fabbriche e centrali elettriche nel raggio di 200 chilometri da Pechino e ha ridotto drasticamente il traffico chiudendo scuole e uffici pubblici. Così ieri – oltre a discutere di sviluppo dei commerci, del ruolo geopolitico degli Stati Uniti in Estremo Oriente e delle cose da fare per evitare che le frizioni tra la superpotenza americana e la nuova potenza cinese sfocino in un’altra guerra fredda – Barack Obama e Xi Jinping hanno parlato a lungo proprio di inquinamento e mutamenti climatici arrivando a un accordo «storico» che sarà quasi certamente annunciato oggi. Lo hanno fatto prima nella passeggiata fuori programma nella Città Proibita, accompagnati solo dai loro interpreti, poi nella cena di Stato, nella residenza presidenziale di Zhongnanhai. 
Ieri a Pechino è stata la giornata delle intese commerciali: le promesse di ampliare gli accordi di libero scambio più volte formulate in questi anni in sede Apec e ribadite ieri con enfasi dalla presidenza cinese, ma soprattutto l’accordo Usa-Cina per la cancellazione dei dazi che gravano sui prodotti di tecnologia digitale avanzata: dai sistemi basati sul Gps ai semiconduttori, alle apparecchiature biomedicali come Tac, risonanze magnetiche e macchine per la radioterapia anticancro. Oggi – insieme agli approfondimenti delle questioni politiche come il ruolo della Cina sul nucleare iraniano, il suo impegno nella lotta contro i terroristi dell’Isis, la mobilitazione contro Ebola – sarà il giorno dei patti sull’ambiente tra i due Paesi che di gran lunga producono più emissioni inquinanti al mondo. Per anni la firma di un nuovo protocollo paragonabile a quello siglato a Kyoto ormai 17 anni fa è stata resa impossibile dai veti incrociati: agli Usa contrari ad assumere impegni non condivisi anche dalle nuove potenze emergenti (e assai inquinanti), Pechino replicava che un Paese ancora in via di sviluppo, con grosse sacche di povertà, non può essere assoggettato agli stessi vincoli imposti alle nazioni industrializzate della parte più ricca del mondo. 
Una rigidità che si è attenuata di recente: la Cina ha capito che deve cambiare modello di sviluppo non per fare un favore al mondo industrializzato ma perché l’intero Paese sta diventando una camera a gas, mentre Obama – che sull’ambiente ha un nervo scoperto fin dal fallimento della conferenza di Copenaghen del 2009, il suo primo insuccesso a livello internazionale – vorrebbe chiudere la sua esperienza alla Casa Bianca firmando un nuovo protocollo sul clima alla conferenza mondiale che l’Onu terrà l’anno prossimo a Parigi. 
L’incontro bilaterale a sorpresa di ieri alla Città Proibita e la cena-fiume durata due ore più del previsto fanno ben sperare per intese tra le due grandi potenze più ampie di quelle ipotizzate alla vigilia. Accordi in campo militare per evitare che incidenti isolati nei territori contesi tra Pechino e altri Paesi dell’area possano sfociare in conflitti. Ma anche un maggior coinvolgimento del governo di Pechino nella gestione delle grandi questioni mondiali, dall’emergenza per Ebola alla lotta contro i terroristi dell’Isis, alla pressione sull’Iran perché rinunci a ogni programma nucleare militare. Un rasserenamento dei rapporti tra le due capitali annunciato ieri mattina dall’accordo per l’eliminazione delle barriere tariffarie sull’hi-tech. L’ultima intesa in sede Wto risale a 16 anni fa, quando molte delle tecnologie oggi più diffuse nemmeno esistevano. Ma tutti i tentativi di aggiornarne i contenuti erano fin qui naufragati. Poi, nei giorni scorsi, la svolta che ora dovrebbe rendere possibile un nuovo accordo nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del Commercio. 
Mentre sul libero scambio gli Usa, pur andando avanti col loro progetto (l’alleanza Tpp che esclude la Cina) hanno deciso di non ostacolare il progetto «alternativo» sostenuto da Pechino, il Ftaap, che, dopo otto anni di negoziati, è ancora a livello di studio di fattibilità.
Massimo Gaggi
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la Repubblica
Lo “scoop” lo fa nientemeno che la televisione di Stato cinese, Cctv. Il tg della sera, il più visto con un’audience di centinaia di milioni, mostra Barack Obama e Xi Jinping che passeggiano quasi soli nella Città Proibita. Li seguono soltanto, a rispettosa distanza, i due interpreti. Né ministri né consiglieri sono inquadrati dalle telecamere. Chiacchierano in modo informale. Poi la serata del grande disgelo prosegue e si allunga a dismisura. Cena a casa del presidente cinese, nel quartiere (davvero proibito) di Zhongnanhai, l’esclusivo e blindato “compound” dove abita e lavora il verticedella nomenclatura comunista.«È durata due ore più del previsto, si sono lasciati alle 23.15», rivela la Casa Bianca. E Obama lancia: «Stiamo portando la nostra relazione a un nuovo livello». È Xi Jinping l’artefice di questo piccolo colpo di scena dalla coreografia molto curata. La visita di Stato di Obama in Cina, in coda al vertice Asia-Pacifico, comincia ufficialmente oggi. Ma il leader cinese, che non a caso è sposato con una celebre cantante e conosce le regole dello spettacolo, decide di calpestare il protocollo. Prima delle formalità, offre a Obama un momento di relax, la passeggiata a due nell’antico palazzo imperiale, fuori dalle convenzioni e dalle agende dei summit. Prolunga fino alla tarda serata la cena a casa sua, perché non ci siano limiti rigidi alla chiacchierata tra i due leader più potenti del mondo.Le prove generali di questo disgelo dovevano cominciare 17 mesi fa, quando fu Obama ad accogliere Xi in una cornice suggestiva, al Rancho Mirage in California. Maniche di camicia e sole della West Coast per propiziare il dialogo con un leader cinese ancora fresco d’investitura, ma il primo tentativo fu un fiasco. Poco prima di quel summit del giugno 2013, le rivelazioni di Edward Snowden sul Datagate avevano scatenato una tempesta diplomatica globale. Seguirono mesi di cyber-attacchi dalla Cina verso siti strategici americani; «provocazioni navali» nelle acque contese con gli alleati degli Usa come Giappone e Filippine. Infine il “flirt” geo-economico tra Xi e Vladimir Putin, che offriva una sponda orientale alla Russia colpita dalle sanzioni sull’Ucraina.I cinesi ora ci riprovano a modo loro, con metodi “alla Xi Jinping”. Il preambolo dell’arrivo di Obama a Pechino è stato ruvido, a dir poco. Tutta la stampa del partito comunista, in un coro unanime, ha presentato Obama come «il presidente debole, che ha deluso gli americani, che non ha mantenuto le aspettative». Ancora ieri il Global Times, il giornale governativo più elitario, descriveva Obama come «un leader che ha perso influenza sulla stessa politica estera americana per effetto della sconfitta nell’elezione di midterm». La Casa Bianca sembra aver capito l’antifona. Il consigliere strategico di Obama, Ben Rhodes, sottolinea che “Xi Jinping si è consolidato come un leader molto forte qui in Cina». È un’allusione chiara: Washington considera questo presidente come un soggetto ben diverso dal suo opaco predecessore Hu Jintao. L’Amministrazione Usa si sta convincendo che Xi, per le sue doti caratteriali e con l’uso spregiudicato della campagna anti-corruzione, ha eliminato fazioni rivali e sta concentrando nelle proprie mani un potere ineguagliato dai tempi di Deng Xiaoping. Da lui bisogna passare, quindi. Certo, Obama ha ribadito che oggi parlerà nuovamente di diritti umani, censura, minoranze oppresse, violenze a Hong Kong. Ma ha rinunciato a rivolgersi direttamente alla “società civile”, come tentò di fare nel 2009 con un discorso agli studenti dell’Università di Shanghai.È con Xi che bisogna parlare, dunque, e da ieri questo dialogo sembra essersi sbloccato. Qualche risultato è visibile. Obama incassa subito l’eliminazione delle barriere protezioniste che colpiscono la punta avanzata dell’hitech made in Usa. Dai semi-conduttori di alta qualità, alle apparecchiature biomediche, Pechino accetta di ridurre o azzerare dazi doganali che arrivavano fino al 30% per alcune categorie di software. Oggi seguiranno altri accordi, in particolare sull’ambiente. Qualche passetto in avanti nel dialogo militare. Nulla di sconvolgente. Ma nel dare la buonanotte all’ospite, nel giardino di casa sua Xi ha detto: «Per riempire la vasca di una fontana si comincia con tante piccole gocce». Obama ha sorriso, ha indicato l’elegante illuminazione che proiettava ombre blu e rosse nel giardino: «Bello spettacolo, bella regia, ottima preparazione».Federico Rampini