Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 12 Mercoledì calendario

Nella legge di stabilità tornano derivati e banche d’affari

Ci risiamo. Dopo il tentativo naufragato un anno fa, il governo prova con nove righe all’art. 33 comma 1-bis a inserire nella Legge di Stabilità forme di garanzia bilaterali con le banche d’affari controparti nei derivati del Tesoro, che ammontano a 160 miliardi di euro. Per il legislatore è una misura che «adegua la gestione del debito ai nuovi orientamenti regolamentari, favorendo un più agevole collocamento dei titoli di Stato», e «potrebbe produrre un differenziale positivo di interessi attivi». Fonti del Tesoro poi sottolineano come l’opzione sarà «facoltà e non obbligo», da applicare a nuove emissioni in dollari (che lo richiedono) e a contratti esistenti «da selezionare con moderazione» previo futuro decreto ministeriale. D’altro canto, però, i banchieri d’affari non si crucciano delle novità, le Pmi raggruppate in Unimpresa parlano di «finanze pubbliche consegnate agli avvoltoi della speculazione», qualificati osservatori temono che il potere negoziale del Tesoro si riduca, e ne segua un drenaggio miliardario di liquidità pubblica altrimenti non dovuta.L’emittente pubblico di solito si tutela da rischi di cambio e di tasso con derivati tipo swap, con cui lascia alle banche le cedole fisse sui Btp e in cambio riceve tassi variabili. E il derivato è una scommessa finanziaria per cui se un tasso – o un cambio, o altro – sale il Tesoro guadagna e la controparte perde. Più spesso, nella realtà, accade il contrario: anche perché in passato – quando le norme lo consentivano, oggi non più – il meccanismo fu utilizzato per anticipare entrate di cassa, che vent’anni fa contribuirono a introdurre l’Italia nell’euro con il primo treno. È difficile capire dove stia la verità, e chi farà l’affare: sulla materia regna il massimo riserbo, malgrado periodiche promesse di trasparenza. Nel giugno 2013 Repubblica e Financial Times stimarono, pubblicando una relazione di via XX settembre alla Corte dei Conti, perdite di mercato di 8,1 miliardi solo su una dozzina di contratti in derivati di valore nozionale di 31,6 miliardi, ristrutturati l’anno prima. Non è noto l’attuale valore di quei contratti, né degli altri 130 miliardi in capo al Tesoro che si guarda dal commentare. Il contesto di mercato però fa ritenere più osservatori che il saldo sia ampiamente negativo.«Il Tesoro è autorizzato a stipulare accordi di garanzia bilaterale sulle operazioni in strumenti derivati – recita l’art. 33 della legge presto al voto parlamentare -. La garanzia è costituita da titoli di Stato di Paesi area euro denominati in euro, o da disponibilità liquide gestite tramite movimentazioni di conti di tesoreria od appositamente istituiti». Finora l’Italia vieta di collateralizzare garanzie sui derivati pubblici. Se passa la norma saranno possibili in modo reciproco (nel senso che chi sta perdendo sul contratto dà il collaterale a chi guadagna) o anche unilaterali. I versamenti, riporta la relazione illustrativa, «saranno remunerati a tassi di mercato monetario, gli stessi cui fa riferimento la gestione della liquidità del Tesoro». Che anzi, si fa notare, con gli attuali tassi a zero paga la Banca d’Italia per custodirgli i soldi. Le garanzie bilaterali, introdotte dalla Svezia nel 2000, sono utilizzate in Danimarca, Inghilterra, Portogallo Irlanda e oggetto di proposta di legge in Germania. Ma c’è un fondamentale distinguo: i paesi che emettono debito con rating tripla A hanno alte probabilità di far versare liquidità alle banche d’affari sui derivati, non così i paesi periferici. Lisbona e Dublino, ad esempio, dovettero subire l’introduzione di garanzie bilaterali poco prima che i loro spread lievitassero, nel 2010 e 2011. «Le garanzie bilaterali sono un serio strumento di gestione del rischio – dice Gustavo Piga, docente di Economia a Tor Vergata – che può far gestire meglio le passività dei contribuenti. Il problema è che quando ci sono di mezzo di derivati il governo nasconde tutto sotto una coltre che fa pensare cose terribili». Piga, nel 2001, fu il primo ad attestare l’uso dei derivati per alterare i conti pubblici in alcuni Paesi europei. «Ma alcune operazioni allora erano permesse. Basterebbe questo argomento, al Tesoro, per avviare una fase di trasparenza che secondo me potrebbe ridurre lo spread italiano di una decina di punti base». Fabrizio Saccomanni, titolare del Tesoro nel giugno 2013, quando uscì la relazione della Corte dei Conti disse al Parlamento: «Faremo trasparenza sui derivati della Repubblica». Lo stesso refrain usarono Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan, all’insediamento del governo. Ma negli androni di Via XX settembre non sembra di annusare la stessa aria.