la Repubblica, 12 novembre 2014
«Mercati pronti a punire i Paesi in recessione e con alto debito. L’Italia punti tutto sulla crescita». Parla Reza Moghadam, già direttore del dipartimento europeo dell’Fmi, in prima fila nella Troika e, oggi, vicepresidente di Morgan Stanley
Reza Moghadam, nato in Iran 52 anni fa, educato in matematica a Oxford, ha sempre preferito restare ciò è oggi: uno sconosciuto in Europa, al di fuori dalle cerchie degli addetti ai lavori. Eppure in questi anni Moghadam è stato uno degli uomini più incisivi della gestione dell’eurocrisi. Come direttore del dipartimento europeo all’Fmi, ha operato in primissima fila nei salvataggi e nella gestione della troika da Washington. A luglio si è dimesso e ora, come vicepresidente per i mercati globali dei capitali a Morgan Stanley, si sente più libero di esprimere i suoi dubbi sul fatto che la crisi sia davvero risolta.I mercati di recente si stanno dimostrando nervosi. Questa volatilità più elevata è destinata a rimanere?«Di solito la causa di fondo della volatilità è l’incertezza. E sì, in questa fase gli investitori non si sentono sicuri della forza della ripresa globale, ma mettono anche in discussione la volontà e persino la capacità di agire di chi ha potere di farlo. I mercati si chiedono: davvero la Federal Reserve americana alzerà i tassi quest’anno se l’economia globale rimane debole? E la Bce supererà le resistenze in Europa per procedere con il necessario quantitative easing ( acquisto di titoli di Stato su larga scala, ndr)? Questi dubbi e vari altri fattori indicano che andiamo verso un periodo di maggiore volatilità».L’impegno della Bce al «whatever it takes», fare qualunque cosa serva, ha placato i mercati. Quella promessa vale ancora?«La Bce creò l’Omt (il sistema di acquisti sui titoli di Stato condizionati all’intervento della troika, ndr ) quanto la tenuta dell’euro era in discussione. Gli spread sui titoli di Stato erano sotto pressione e la capacità di finanziarsi di certi governi era minacciata. L’Omt è stato importante nell’indurre una svolta sulla fiducia del mercato in Europa. Oggi, i governi europei possono attingere al mercato con facilità e i rendimenti sono su minimi record».Tutto a posto dunque?«Il problema che ha di fronte l’Europa oggi è diverso. Non le dinamiche esplosive di mercato del 2012, ma il logorio lento della bassa crescita e della bassa inflazione. Per affrontare un grande eccesso di debito pubblico e privato e l’alta disoccupazione occorre una crescita molto più rapida di quella che vediamo oggi in Europa. Se questo problema persiste e le misure di politica economica sono inadeguate, sono certo che nel tempo gli investitori saranno molto meno disposti a tenere titoli di debito europei. A quel punto vedremo tensioni di mercato nei Paesi ad alto debito, ma a crescita e inflazione basse».Quanto è grave la minaccia della deflazione per l’Italia e l’Europa del Sud?«Non c’è bisogno di una deflazione aperta e ampia ovunque nell’area euro per minare la moneta unica. È gravemente nociva anche solo un’inflazione bassa, vicina allo zero in media, e un’inflazione negativa nei Paesi ad alto debito. Un’inflazione troppo bassa combinata a una crescita anemica rende difficile ridurre livelli alti di debito pubblico e privato. Quando l’inflazione è bassa ovunque, diventa anche difficile ottenere quegli aggiustamenti di prezzi relativi fra i diversi Paesi dell’euro e così migliorare la competitività. La bassa inflazione è un problema molto grave che richiede un’azione più decisa».Come può l’Italia affrontare il problema di un debito così alto?«Negli anni il Tesoro ha fatto un lavoro eccellente nell’allungare le scadenze dei titoli di Stato e ridurre i costi che sostiene per finanziarsi. Perlopiù, l’Italia ha anche condotto una politica di bilancio responsabile con dei ragguardevoli avanzi primari (prima di pagare gli interessi, ndr) in modo da frenare il debito. E anche le privatizzazioni possono aiutare».Eppure il debito continua a crescere.«Perché alla fine il modo migliore per ridurlo è con una crescita più alta. Gran parte delle stime situano il tasso di crescita potenziale dell’Italia sotto l’1%. Per un Paese con risorse così impressionanti, è nettamente troppo basso. Dunque, penso che la strategia del governo – concentrarsi in primo luogo sulle riforme strutturali per aumentare la crescita potenziale dell’economia – sia quella giusta. E anche la politica di bilancio potrebbe aiutare, con un approccio più favorevole alla crescita».Davvero una linea di bilancio rigorosa, che mantiene un avanzo primario, può essere favorevole alla crescita?«Ciò implica ridurre le tasse sul lavoro e compensare riducendo nel corso del tempo la spesa, esclusa quella per investimenti».C’è un confronto aperto con Bruxelles su questi temi. Che ne pensa?«Le politiche a livello dell’area euro sono importanti per assicurare che gli obiettivi di bilancio concordati riflettano adeguatamente lo stato delle economie e permettano le riforme strutturali, invece di concentrarsi strettamente sugli obiettivi nominali del Patto di stabilità. E c’è un punto decisivo: serve l’impegno della Bce per impedire un’inflazione troppo bassa e per riportare la dinamica dei prezzi verso l’obiettivo di medio termine del 2%. Questo è fondamentale nel sostenere gli sforzi per ridurre il debito».