il Giornale, 12 novembre 2014
Cinque cambi a partita per aver calciatori meno spremuti e possibilità di provare i giovani: «Naturalmente da gestire senza furbate, con adeguata regolamentazione che eviti tutti i cambi negli ultimi cinque minuti solo per perdere tempo»
Infortuni tanti e sempre di più. I club soffrono, spendono e ci perdono. Ha dovuto farne i conti anche la nazionale di Conte che, in questo giro, ha depennato: Florenzi, Astori, Pirlo, Abate, Barzagli, Paletta, Romagnoli (convocato “under 21“, ma poteva essere recuperato per la partita di Genova con l’Albania), Osvaldo (si era fatto male nel precedente ritiro) fino all’ultimo colpo basso subito da Insigne, che stava per tornare in azzurro. Non dimenticate i lungo degenti Montolivo e Rossi, aggiungete che Verratti, presente per firma, non sarà disponibile per la Croazia e il quadro croce rossa è desolante. Non è storia nuova, ma ad ogni annata i conti peggiorano e aumenta la necessità di evitare carneficine di muscoli e ossa rotte.
Che fare? La gente del calcio se lo è chiesto. I medici di più. L’ultima idea porta all’ennesimo rinnovamento del pallone: non più tre, ma cinque sostituzioni. L’idea è stata lanciata da Piero Volpi, oggi tornato ad essere punto di riferimento dello staff medico dell’Inter, ma attento studioso dei problemi del pallone, esperto di traumatologia e ortopedia nonchè consulente ascoltato di vari settori nazionali e internazionali. E il fatto di essere stato calciatore aumenta il suo interesse a salvaguardare gli atleti. Dunque, cosa pesa? Il numero eccessivo di partite giocate magari in tempi stretti, la difficoltà dei recuperi fisici e muscolari, l’importanza di rimettere velocemente in sesto i calciatori. Si elencano periodi in cui vanno giocate 7 partite in 20 giorni. Leggendo il lungo elenco di infortuni e infortunati, il dottore sostiene che non si può prescindere dai due cambi in più. «I giocatori faticano a recuperare, gli allenatori sono frenati nella gestione degli ex infortunati. Cinque cambi aiuterebbero tutti. Naturalmente da gestire senza furbate, con adeguata regolamentazione che eviti tutti i cambi negli ultimi 5 minuti solo per perdere tempo».
La logica dei cambi numerosi potrebbe far ragionare in modo diverso le società. «Nelle partite già decise, il tecnico sarebbe spinto a provare qualche giovane. E i club potrebbero valersi di rose più corte, avendo la possibilità di spremere meno i giocatori e, magari, valorizzare i giovani».
Innovazione non facile, ma efficace pure per allenatori che non amano l’impiego di giocatori, di ritorno da infortuni, per un solo tempo: soluzione fattibile avendo a disposizione una più ampia rotazione e un cambio di salvaguardia per gli infortuni. Proprio l’altra sera Mazzarri ha spiegato che, se una squadra rimane in dieci, l’ultimo cambio va tentato solo nei minuti finali per non rischiare di rimanere in nove.
Ma che dicono le altre componenti? Arbitri ed ex arbitri spiegano che, per loro, nulla cambia: dovranno scrivere qualche nome in più e tener in conto la perdita di tempo. L’associazione calciatori non oppone resistenze, avendo a cuore la salute dei calciatori, un maggior impiego per tutti e magari la regolarità della partita. Da qui la proposta di dare scadenze di tempo ai cambi: magari non più di tre ogni 45 minuti, o due obbligatori nella prima parte. Particolari da perfezionare.
Poi ci sarebbero le istituzioni calcistiche e, come sempre, proprio dalla gente in poltrona arrivano dubbi e ostacoli. La proposta è stata allungata all’Uefa, dalla quale sono arrivate aperture. Peccato che Michel Platini, presidente ed ex calciatore, sia il più contrario. Nemmeno si parlasse di tecnologia e non di salute.