La Stampa, 12 novembre 2014
La Regione Veneto avvia le pratiche formali per staccarsi dall’Italia. Siamo un Paese unito solo nel dividersi
La Regione Veneto avvia pratiche formali per staccarsi dall’Italia. «La consultazione sull’indipendenza del Veneto, anche alla luce di quanto accaduto in Catalogna, è un punto da cui non si torna indietro», ha detto il governatore Zaia. In effetti i 2,3 milioni di catalani andati alle urne e soprattutto il risultato (80% di «sì» all’addio a Madrid) sono dati incoraggianti.
E così la Regione ha deciso di presentare un comitato referendario sotto la supervisione dell’assessore al bilancio, Roberto Ciambetti.
Insomma si vuole una votazione che abbia l’imprimatur della Regione, in modo da dare un seguito ufficiale a quella del tutto privata condotta nei mesi scorsi dal movimento Plebiscito.eu. Ricordate? Gianluca Busato, il Casaleggio dei separatisti, aveva detto che due milioni di veneti avevano scelto on line di staccarsi da Roma. È vero che quella consultazione fu contestatissima, e che secondo alcuni i votanti non furono più di centomila: tuttavia, non c’è dubbio che la voglia di indipendenza del Veneto sia reale, come hanno accertato diversi sondaggi della Demos & Pi di Ilvo Diamanti, l’ultimo dei quali attribuisce un 53 per cento ai separatisti.
Il Veneto dunque se ne va? Calma. C’è modo e modo di andarsene. Infatti, la stessa Regione – nel dubbio, nell’incertezza – sta pensando di fare non uno, ma due referendum: uno sull’indipendenza e uno sull’autonomia, perché i veneti insofferenti verso Roma si dividono in due categorie, i falchi e le colombe.
Ma in fondo anche i falchi indipendentisti non sono poi così uniti. Noi Veneto indipendente, Pasque veronesi, Raixe venete ed Europa Veneto faranno parte del comitato regionale per il referendum. Invece Indipendenza veneta non ne riconoscerà la legittimità, così come Plebiscito.eu (quelli del referendum on line): Busato ha detto che quello di Zaia è un referendum leghista e «la politica della Lega, da 25 anni a questa parte, ha portato solo ad affamare ancora di più i veneti». Resta poi da sentire il parere di Governo veneto, di Veneti indipendenti, di Prima il Veneto, di Veneto Stato e della Liga veneta repubblicana. Pare siano già in programma, dopo la proclamazione dell’indipendenza del Veneto, altri sette-otto referendum per ritagliarsi ciascuno un proprio territorio.
D’altra parte siamo in Italia e prima delle regioni vengono i campanili. I bergamaschi non sopportano i bresciani, leccesi e baresi sono come cani e gatti e a Cuneo e ad Alba – che pure sono nella stessa provincia – i vecchi raccontano che prima della legge Merlin la casa di tolleranza di Cuneo era in via Alba e quella di Alba era in via Cuneo.
Ma poi non è solo questione di campanili. È che nel nostro popolo c’è un’irrefrenabile propensione a dividersi anche quando si combatte per la stessa causa. Il partito che ci ha governato per mezzo secolo era famoso per le sue correnti: degasperiani, dossettiani e vespisti (che non erano seguaci di Bruno Vespa); poi Iniziativa popolare da non confondersi con Alleanza popolare e con Iniziativa democratica, la quale era a sua volta cosa diversa da Impegno democratico; quindi gli andreottiani e i pontieri, i fanfaniani e i basisti, i dorotei e i morotei.
Perfino gli anni di piombo segnarono la nostra straordinaria diversità. In Germania i terroristi si raccolsero tutti nella Raf: Rote Armee Fraktion. In Italia si contarono 71 sigle: le Brigate rosse e le Brigate comuniste, i Nap e i Gap (anzi di Gap ce n’erano due: Gruppi armati proletari e Gruppi d’azione partigiana). Poi Guerriglia rossa, cosa diversa rispetto a Guerriglia comunista e anche a Guerriglia proletaria; i Comitati comunisti rivoluzionari che avevano una linea molto, molto differente dai Comitati organizzati per la liberazione, i quali a loro volta avevano obiettivi divergenti rispetto ai Comitati proletari. Quindi il Fronte armato rivoluzionario operaio, il Fronte comunista combattente, il Fronte popolare per la liberazione. Poi – dopo i Gruppi, i Comitati e i Fronti – c’erano le Formazioni: quella comunista armata e quella comunista combattente, il che farebbe supporre che la seconda combatteva senza armi. Dimenticavamo Prima linea.
Questa è l’Italia, insomma: un Paese unito solo nel dividersi. E anche chi ora vuole andarsene, in fondo, si dimostra molto italiano.